lunedì 31 gennaio 2011

Nessun ricatto sul federalismo

Oggi voglio parlarvi della mia posizione personale e di quella dell’Italia dei Valori sul federalismo. Lo voglio fare senza preconcetti e con molta onestà intellettuale. Il federalismo è uno strumento, la cui validità dipende da quello che se ne fa e da come viene usato. Riconoscere che oggi come oggi i Comuni sprecano molti soldi e che c'è una disparità di trattamento nelle entrate e nelle uscite è ammettere una realtà. Così come riconoscere che il debito pubblico italiano è una conseguenza del fatto che finora, per 50-60 anni, si è sempre fatto riferimento alla spesa storica: gli enti territoriali spendono quello che vogliono e poi lo Stato ripaga…Pantalone mette i soldi. E se non bastano i soldi ci si indebita.
È chiaro che non si può andare avanti così perché in una famiglia non è possibile spendere in un mese quello che si vuole, bisogna che le uscite corrispondano agli incassi, altrimenti dopo un po’ si va in fallimento. L’idea di affrontare questo problema – sia che lo si chiami federalismo o che lo si chiami principio di legalità, di uguaglianza, regola secondo cui ognuno deve pagare le tasse in base ai propri redditi, rendite e proprietà o che lo si chiami come si vuole – è giusta. In questo senso, l’Italia dei Valori sarebbe disponibile a parlare con chiunque pur di far quadrare i conti. Uno dice: ma allora tu adesso vuoi votare il federalismo della Lega e di Berlusconi? E qui che casca l’asino, non c’è mica scritto “giocondo” sulla mia fronte. Ragioni di merito e di opportunità mi impediscono di entrare su questo tema. Non possiamo per quello che ha detto oggi lo stesso ministro Maroni, ovvero che questo federalismo è il loro modello di federalismo, non cambieranno, quindi o “prendiamo questa minestra o saltiamo dalla finestra” e si va a votare. Se lui pensa di far approvare un federalismo in cui si aumentano le tasse, si fa pagare di più al ceto medio e ai più deboli, non si combattono gli evasori fiscali, il Paese viene diviso, in cui in realtà si producono nuovi monopoli e nuovi centralismi e una spesa incontrollabile, allora io non ci sto, questa minestra non la mangio. Innanzitutto perché l’Italia dei Valori qualora, come ha detto Maroni dando un aut aut, c’è la possibilità di far cadere il governo Berlusconi, si impegnerà sempre per dare il colpo finale. Non sono mica scemo, aspetto da 15 anni di mandare a casa Berlusconi e adesso che ne ho l’opportunità sarebbe sciocco non approfittarne. Se il voto sul federalismo è, come si sta dimostrando di essere, un giudizio universale sul governo Berlusconi, noi senza se e senza ma votiamo di no. Quando poi un domani passerà la bufera Berlusconi, toccherà affrontare il problema vero, ovvero come abbattere il debito pubblico che oggi ammonta al 108% del Prodotto interno lordo. Ma su questa questione cruciale io mi voglio confrontare non con Berlusconi – perché è una questione etica mandarlo a casa – ma con chi verrà dopo di lui, grazie a una normale consultazione elettorale. Solo a quel punto inizierà il nostro dibattito per ridurre il debito pubblico, introdurre una maggiore equità fiscale e soprattutto imporre a tutti il pagamento delle tasse, specie agli evasori. (www.antoniodipietro.it)

Passaparola di Marco Travaglio (dal blog www.beppegrillo.it)

domenica 30 gennaio 2011

Anche il Colle non ne può più



"In questa situazione, prima o poi dovrò fare qualcosa". Dopo l'appello a Silvio Berlusconi, invitato a presentarsi dai giudici, Giorgio Napolitano sta valutando con i suoi collaboratori l'opportunità di un intervento più deciso. Ha capito che il premier non ha nessuna intenzione di dimettersi, ma non è più disposto a tollerare che i due rami del Parlamento rimangano sostanzialmente immobili. Se necessario, è pronto anche a sciogliere le Camere. La degenerazione dei toni e il blocco causato dal voto sul federalismo in commissione hanno convinto il capo dello Stato a un avvicinamento con Bossi. E il dialogo ha prodotto un'immediata retromarcia del Senatùr riguardo alla questione Montecarlo e alle dimissioni di Fini. Ieri, nel giorno dell'apertura dell'anno giudiziario, la magistratura ha risposto compatta alle accuse lanciate dal premier: "Basta delegittimazioni". Pasquale Profiti, presidente dell'Anm in Trentino Alto Adige, ha detto: “Confessiamo di essere effettivamente degli eversori e dei disturbati mentali perché applichiamo le regole della Costituzione”. Ma la vera sorpresa, per il Cavaliere, è arrivata dall'interno del suo partito. Il presidente della commissione Antimafia Giuseppe Pisanu lo ha invitato a presentarsi dai giudici, bocciando l'idea di una manifestazione contro le toghe. Poche ore dopo, lo stato maggiore del Pdl, per bocca di Ignazio La Russa, ha annullato ufficialmente l'iniziativa programmata a Milano per il 13 febbraio. (www.ilfattoquotidiano.it)

giovedì 27 gennaio 2011

Adesso irrompe nelle trasmissioni anche Masi...su suggerimento di chi ?

St Lucia, ecco le carte segrete di Frattini


In esclusiva su ilfattoquotidiano.it i documenti su Fini che il ministro degli Esteri non ha voluto mostrare in parlamento. Anche perché si tratta di quelli già pubblicati da Il Giornale. Di nuovo c'è solo la lettera di accompagnamento del premier di Saint Lucia scritta il dieci dicembre. E arrivata a Roma dieci giorni dopo. La Farnesina, insomma, si è tenuta tutto nei cassetti per più di un mese. Per poi affondare Fini proprio durante il caso Berlusconi, sesso e minorenni. Questa mattina il capo della Farnesina ha riferito in Senato annunciando: "Le carte di Santa Lucia sono autentiche". Nel frattempo un militante di Fli ha denunciato Frattini per abuso d'ufficio. (www.ilfattoquotidiano.it)

Non si campa di pane e scandali

Questa mattina sono stato ospite di "Un caffè con..." di SkyTg24. Abbiamo parlato di alcuni dei temi scottanti di questi giorni. (www.antoniodipietro.it)

mercoledì 26 gennaio 2011

Ecco i documenti che fanno tremare Fini

Il neopartito che si candida a guidare un nuovo centrodestra e il Paese Intero, il Fli, ha un capo furbetto, reticente e forse anche un po’ bugiardo. Gianfranco Fini, infatti, della famosa casa di Montecarlo svenduta al cognato ne sa molto di più di quanto abbia giurato nei drammatici videomessaggi che hanno allietato la scorsa estate. Ricordate? Non è vero niente, è solo una campagna di fango, se fosse vero mi dimetto. Ecco, appunto. È tutto vero. Lo provano, secondo quanto risulta al Giornale, i documenti arrivati al governo italiano e ora custoditi nella cassaforte del ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il quale ne ha consegnato una copia alla Procura della Repubblica di Roma che ancora sta indagando, si fa per dire, su quel brutto pasticcio.
È strano come la magistratura sia così efficiente e celere quando si occupa di Berlusconi (in pochi giorni, con grande schieramento di forze e mezzi, sono state ricostruite le frequentazioni di un anno ad Arcore) e sia invece lenta, paralizzata, quando si tratta di fare luce su Gianfranco Fini. Che evidentemente sperava, o forse era stato da qualcuno rassicurato, di poterla fare franca. Nessun pm si era preoccupato non dico di interrogarlo, ma neppure di farci due chiacchiere al bar. Nessun magistrato ha sentito il bisogno di salvare almeno l’apparenza convocando il cognato, Giancarlo Tulliani, tantomeno le decine di testimoni portati a galla dai nostri cronisti. Ovviamente, nessuna intercettazione o fuga di notizie.
Spenti i riflettori, dirottata l’attenzione altrove, brindato al bunga bunga, Fini ha ripreso a fare il paladino della legalità e dell’etica politica a tempo pieno. E con lui i Bocchino, i Granata, i Briguglio. Pensava di farla franca ma, come capita agli arroganti, non ha fatto i conti con l’imprevisto. Che arriva da Santa Lucia e, a quanto pare, è inequivocabile. Non che le prove mostrate la scorsa estate dal Giornale non fossero sufficienti a far concludere che quella casa, transitata per società off-shore e svenduta sottocosto con grave danno ai beni del partito, fosse un affare di famiglia sulla pelle dei militanti di An. Ma ora anche ogni tentativo di negare l’innegabile non starebbe più in piedi.
E forse in quelle carte, che tra poche ore, inevitabilmente, in un modo o nell’altro diventeranno pubbliche, c’è anche di più. Cioè la prova che Fini ha mentito ripetutamente ai suoi colleghi di partito e agli italiani tutti, anche là dove non era necessario, per depistare da una ipotesi di reato. Semplicemente ci ha preso in giro proprio come i bambini sorpresi con le mani nel vasetto di marmellata.
Fini non ha voluto dimettersi mesi fa davanti all’evidenza, smentendo anche le sue parole. Non ha voluto lasciare lo scranno quando è sceso nel ring della politica perdendo anche formalmente il suo ruolo di arbitro e terza carica dello Stato. Potrebbe farlo in queste ore prima di essere definitivamente sbugiardato. Ieri gli è stato chiesto e ha risposto di no. Dovrà farlo tra non molto, quando i nuovi documenti gli faranno perdere anche il sostegno di una opposizione fino ad ora complice. (Alessandro Sallusti - IL GIORNALE -)


Data la fonte in questione, ovvero Il Giornale e Sallusti, il tutto è da considerarsi con beneficio, ma molto beneficio, d'inventario.

Soldi, coca e bunga bunga



La Camera ha respinto la mozione di sfiducia a Sandro Bondi con 314 no e 292 sì. Ma ad imperversare è nuovamente l'uragano Ruby, la minorenne che è costata al premier un'accusa per concussione e prostituzione minorile. La scontata salvezza del ministro appariva fino a stamattina una vittoria del Popolo della libertà. Si è ridotta invece a una pura formalità dopo che i pm di Milano hanno inviato alla Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio altre 227 pagine sul caso Ruby Rubacuori: documentazione integrativa di quanto già inoltrato alla Camera. Carte che "da una prima lettura sommaria appaiono come una pietra tombale sulla difesa del premier", dice Marilena Samperi del Partito democratico. Niente a che vedere, insomma, con la rassicurante descrizione di serate a base di karaoke e coca cola light fatta dai testimoni dagli avvocati del premier. Intanto i pm di Milano hanno inviato un invito a comparire alla consigliera regionale Nicole Minetti, convocata per il primo febbraio. (www.ilfattoquotidiano.it)

La gavetta della politica



Mi ha colpito la risposta di Gad Lerner allo psiconano che enunciava le qualità di Nicole Minetti: "E questo le consente (alla Minetti, ndr) di saltare la gavetta della politica?". In questa frase è racchiusa la differenza tra politica partecipata e politica professionale, di lungo corso, un mestiere che si impara. Tra le mille cose (un'enciclopedia giudiziaria) che avrebbe potuto ribattere a un tizio ("Quello della notte") che si aggira tra una trasmissione e l'altra importunando i telespettatori, Lerner ha scelto la superiorità del politico rispetto al comune cittadino.
Di che gavetta sta parlando Lerner? Le regole della democrazia sono tutte saltate. Il cittadino è stato escluso da qualunque processo democratico. Deputati e senatori sono nominati, il Parlamento è un potere autoreferenziale che non rende conto a nessuno. Referendum e leggi popolari sono come le pietruzze colorate che si regalavano agli indigeni: luccicanti, ma di nessun valore. Non c'è alcuna strada se non quella di auto rappresentarsi, di entrare nelle istituzioni, farsi portavoce di altri cittadini. Se una persona mossa da spirito civile decidesse di farlo, e molte lo hanno fatto, dovrebbe forse iscriversi alla locale sezione di partito, cominciare a leccare il culo a qualche capataz, o frequentare chi "sa cos'é la politica"? Ecco... "Cos'è la politica?" se non partecipazione attiva dei cittadini, qualunque cittadino, di ogni estrazione sociale, dalla casalinga madre di tre figli all'operaio al netturbino. Perché un autista di autobus non può diventare sindaco di Milano o presidente della Commissione Lavoro? Che gavetta deve fare? La sua vita è già una gavetta. La gavetta è il nonnismo dei politici. Il Parlamento deve riempirsi di cittadini e espellere i politici di professione.
La confusione sotto il cielo della politica è grande. In vent'anni si è confusa la politica con l'informazione, con la magistratura, con l'imprenditoria che hanno fatto da supplenti a un vuoto totale. La politica è la misura di ogni cosa, da cui le altre discendono. Il cittadino è la politica, la volontà popolare è la politica, i bisogni dei cittadini tradotti in leggi semplici e chiare da altri cittadini è la politica, un'informazione pagata dai cittadini lettori e non dalle tasse e dalla pubblicità delle lobby è la politica, una giustizia che funzioni è la politica. Tutto parte dal cittadino e tutto ritorna al cittadino. Lo Stato è il cittadino e il cittadino è lo Stato. (www.beppegrillo.it)

martedì 25 gennaio 2011

Il nonnetto bavoso e malato telefona ancora

Il delinquente di Arcore è costretto a scendere in campo per difendersi, evidentemente i suoi peones non sono più all'altezza, eccezzion fatta per la Santanchè. Quella "vaiassa" che qualche anno fa affermava che Berlusconi vedeva le donne solo in posizione orizzontale. Chissà cosa poi l'ha fulminata sulla via di Arcore.

C'era una volta l'amico Bossi



"Il capo è disposto a qualunque cosa per portare a casa il federalismo". Così i dirigenti leghisti in via Bellerio sintetizzano il contenuto del vertice che si è tenuto ieri nel quartier generale del partito. Durante la riunione si è parlato della proposta del Terzo polo: posticipare di sei mesi la scadenza della legge delega sul federalismo così da avere il tempo per far insediare un esecutivo tecnico e poi approvare la "rivoluzione fiscale". Ma Bossi non si fida di Pier Ferdinando Casini. Così il Senatur ha parlato direttamente con Gianfranco Fini e ha mandato un segnale a Berlusconi evitando di andare ad Arcore per il tradizionale incontro del lunedì sera. La controfferta di Bossi al Terzo Polo è semplice: votiamo subito il federalismo e un minuto dopo sostituiamo Berlusconi con Tremonti. Il Pdl, però, ha fiutato il pericolo. E ha disturbato la manovra riuscendo a non far slittare il voto della mozione di sfiducia a Sandro Bondi, in aula domani dalle 16. Il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, finito allo scoperto, non ha potuto far altro che dimostrare fedeltà al premier chiedendo, insieme a Fabrizio Cicchitto, di porre la discussione sul ruolo di Gianfranco Fini alla presidenza della Camera. La partita è ancora tutta da giocare. Un fatto, però, è certo: il premier adesso dubita anche di Bossi. (www.ilfattoquotidiano.it)

Non ce lo meritiamo


Ogni giorno che passa Berlusconi riesce a peggiorare e - quando sembra che sia arrivato al limite massimo - se ne inventa un’altra per svergognare il nostro Paese, umiliare le istituzioni che indegnamente rappresenta e offrire ai cittadini, in particolare ai giovani, l’esempio della peggior cultura possibile.
Ma dove mai si è visto, in quale repubblica delle banane, un presidente del Consiglio che si permette di irrompere con le sue telefonate in una trasmissione televisiva per insultare o offendere, senza interloquire con nessuno, senza accettare alcun contraddittorio, vomitando solo contumelie e imprecazioni?

Se il conduttore, per cortesia, gli permette di intervenire, come ha fatto ieri sera Gad Lerner, viene ricoperto da improperi e la sua trasmissione viene definita “un postribolo”: un insulto grave, specie se detto da uno che di quella materia se ne intende come Silvio Berlusconi. Se invece il conduttore, conoscendo i suoi polli e avendo già fatto esperienza della maleducazione e della villania del presidente del consiglio, non manda la telefonata in diretta, ecco che diventa subito un nemico giurato da punire, perché quella di punire chi tiene la schiena dritta e non lo serve è diventata l’ultima ossessione di Berlusconi.

E non è finita mica qui. Quando mai si era visto un leader ordinare brutalmente a una europarlamentare eletta nelle liste del suo partito di alzarsi e andarsene come ha fatto ieri con Iva Zanicchi? Senza alcuna vergogna, ieri il satrapo nostrano ha fatto vedere a tutto il Paese come considera i parlamentari del suo partito: non esponenti politici ma suoi dipendenti ubbidienti, che devono essere pronti a scattare a ogni ordine. Bene ha fatto l’onorevole Iva Zanicchi a non andarsene (anche se non sappiamo se l’ha fatto per orgoglio o per pavidità). Berlusconi ha perso ogni freno e dà in escandescenze perché è terrorizzato, perché sente che non riuscirà ancora a lungo ad evitare di affrontare le sue responsabilità politiche e penali. Però in questa sua furia rivela anche di quale cultura, anzi di quale rozza e meschina incultura, sia nutrito lui e abbia nutrito per oltre quindici anni questo Paese, facendo danni immensi.

Quando lo avremo finalmente cacciato, quando di Berlusconi parleremo arrossendo per la vergogna di esserci tenuti un uomo simile per tanto tempo, dovremo piano piano combattere i frutti avvelenati della incultura che ha diffuso in questo Paese, e dalla quale - come in tutto quello che fa - ha tirato fuori solo il suo guadagno privato.
Dovremo ricostruire una cultura vera, restituire ai nostri giovani il senso dei valori che sono stati cancellati negli ultimi 20 anni di berlusconismo, rimettere al centro del nostro sistema l’istruzione, la formazione, il senso del dovere e del rispetto per la collettività.

Quando parliamo di cultura, parliamo di saperi e parliamo di valori. Il governo del caimano ha eliminato gli uni e ridicolizzato gli altri. Per questo è stato il governo dell’incultura e non a caso il più fedele e anonimo tra i dipendenti di Berlusconi, Sandro Bondi è finito a fare il ministro dell’incultura. Dobbiamo mandarlo via, il parlamento italiano deve avere la dignità di sfiduciarlo: non solo e non tanto per il crollo di Pompei ma per tutto quello che rappresenta. Per dire no a una politica che ha fatto a pezzi la cultura e la formazione in questo paese e al loro posto ha esaltato l’ignoranza, la villania, l’egoismo, la disponibilità a vendere tutto in cambio del successo.

Non è questa la cultura che l’Italia si merita. Non è questo il ministro della cultura che l’Italia si merita. Ma soprattutto l’ossesso che sbraitava ieri sera contro Gad Lerner in tv, come aveva sbraitato nei giorni precedenti contro la magistratura e la libera informazione, non è il presidente del Consiglio che l’Italia si merita. (www.antoniodipietro.it)

domenica 23 gennaio 2011

In Rai basta una notizia alla settimana





Già il titolo promette tanto: atto di indirizzo sul pluralismo della Commissione parlamentare di Vigilanza per la Rai. Il deputato Alessio Butti, capogruppo del Pdl in Vigilanza, ha presentato la sua bozza. Un manifesto in pochi punti per dire: noi, maggioranza al governo, vediamo così il servizio pubblico. O meglio, prescriviamo: "Per garantire l'originalità dei palinsesti è opportuno, in linea generale che i temi prevalenti trattati da un programma non costituiscano oggetto di approfondimento di altri programmi, anche di altre reti, almeno nell'arco di otto giorni successivi alla loro messa in onda”. Tradotto: se il lunedì Porta a Porta (Raiuno), nel suo stile, parla di Ruby e dei festini di Arcore, Ballarò (Raitre) il martedì e Annozero (Raidue) il giovedì devono tacere. Gianluigi Paragone (l’Ultima parola) boccia l'idea e sui temi da non sovrapporre è ironico: “A me che vado in onda il venerdì resta solo l'anticipo della Domenica sportiva”. Lucia Annunziata (In Mezz'ora) sente odore di chiusura: "S'avvicinano le elezioni. E per questo si preparano a sospendere l'informazione". (www.ilfattoquotidiano.it)

sabato 22 gennaio 2011

Sono pazzi quelli del Fatto ?



Il Fatto quotidiano, il giornale diretto di Padellaro, Travaglio e Gomez (a cui va aggiunta una bella e agguerrita squadra di giornalisti), nel 2010 ha macinato numeri e lettori, riuscendo a portarsi a casa un utile di ben 10 milioni di euro. Solo che, pensate che idiozia, invece di regalare una Maserati a Travaglio e una Bentley a Gomez, questi pazzi hanno deciso di suddividere il malloppo tra tutti i dipendenti del giornale, regalando 8 mila euro a testa a tutti quanti.

Questi giustizialisti comunisti si sono inventati la suddivisione degli utili: ha proprio ragione Silvio a dire che sono dei criminali, pensate che disastro se anche i dipendenti delle altre aziende pretendessero un simile beneficio, come verrebbe acquistato il nuovo yacht dell’amministratore delegato??

Il Fatto quotidiano si conferma quindi una creatura anomala e bizzarra nel panorama informativo italiano e non soddisfatto degli obiettivi già raggiunti si prepara a rilanciare. Tra un mese uscirà un nuovo inserto dedicato alla cultura, altra dimostrazione di follia sinistreggiante, mentre il sito internet necessita di continui interventi a causa dell’elevato numero di visitatori: più di 330.000 utenti unici al giorno, con punte che hanno superato i 360mila.

La redazione del Fatto trabocca di faziosi e giustizialisti. E va bene anche così… (www.polisblog.it)


...ah questi del Fatto Quotidiano, uguali a tutti i comunisti...giocherelloni...

La malattia e la cura


(www.antoniodipietro.it)

Innamorato pazzo


Bersani, quel vecchietto che ti osserva da una panchina con le maniche arrotolate con la speranza di carpirti un voto, ha preso coraggio. Per cacciare Berlusconi da Palazzo Chigi ha deciso di portargli 10 milioni di firme che raccoglierà in un mese con diecimila gazebo. E' la "campagna di febbraio". Una via di mezzo tra la presa del Palazzo d'Inverno di Lenin e gli otto milioni di baionette di Mussolini che disse con profetica lucidità: "E' dunque un grande ramo d'ulivo che innalzo... Attenzione, questo ulivo spunta da un'immensa foresta: è la foresta di otto milioni di baionette bene affilate e impugnate da giovani intrepidi e forti." Da otto milioni di baionette a dieci milioni di firme con la benedizione dell'ulivo il passo è breve.
Bersani ha tuonato con la sua esse blesa: "Lui pensa di parlare di magistratura e non rispondere delle cose di cui deve rispondere". D'Alema un po' se l'è presa. Credeva alludesse. Ancora a rivangare con la storia della Forleo e della sua intervista sulla magistratura a Canale 5. Bersani ha rimarcato implacabile: "Io sono nettamente contrario alle elezioni. Ma non illudiamoci, se si va a votare con questa legge e lui vince, poi farà di tutto per andare al Quirinale e avrà i numeri per farcela". La legge elettorale, la legge porcata di Calderoli, non è stata mai messa in discussione dal Pdmenoelle nei due anni di governo Prodi. Questa legge è figlia di ogni partito presente in Parlamento, benvoluta da tutti. Bersani si è anche intristito al pensiero dello psiconano:"Lui è lì e rimarrà lì finchè gli sarà consentito". Già, chi lo ha consentito? Il governo sarebbe caduto da tempo se il Pdmenoelle fosse stato presente in aula al voto di fiducia sullo Scudo Fiscale. Berlusconi non sarebbe neppure in Parlamento se l'opposizione avesse introdotto la legge sul conflitto di interessi. Berlusconi non avrebbe il controllo delle televisioni se D'Alema non gli avesse cucito su misura una legge nel 1999 (altro che Bottino Craxi).
Bersani ha comunque un sogno. Ascoltare Topo Gigio Veltroni nel suo secondo discorso al Lingotto di domani, 22 gennaio. Si aspetta "un contributo di cultura politica". Walterloo resuscitò Berlusconi che si era ridotto nell'autunno del 2007 a regalare la pasta ai pensionati alla periferia di Milano e riuscì persino a non nominarlo per tutta la campagna elettorale. Da vero oppositore, ma anche alleato, gli strinse la mano alla Camera dopo il suo discorso di insediamento. Al pensiero di un suo nuovo contributo politico ogni italiano si tocca i coglioni. Bersani ha concluso: "E' chiaro che Berlusconi pensa di prenderci tutti per imbecilli". E questa è una cattiveria nei suoi confronti. Tutti no. I vertici del Pdmenoelle non li considera imbecilli, ma soci in affari. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure. (www.beppegrillo.it)

giovedì 20 gennaio 2011

Ruby affidata a una prostituta

Ruby va a Canale 5 a farsi intervistare da Alfonso Signorini per salvare il premier. E racconta la sua verità, smentita dalle carte. Intanto, dalle carte, spunta una storia sconvolgente. Ad attendere la marrocchina in via Fatebenefrattelli non c'era solo il consigliere regionale Nicole Minetti, ma anche la escort brasiliana Michele. La minorenne si allontanò proprio con quest'ultima: 32 anni, una laurea in psicologia. La sua professione, però, secondo i pm, viene rivelata dall'agenda sequestrata dalla polizia e messa agli atti dell'inchiesta. Dal taccuino escono i nomi di “Papi Silvio Beluscone”, “Juapaulo autista Beluscone” e “casa Roma Silvio”. Ma anche quello di Sandro Frisullo con a fianco annotato la parola “pulitico”. E in effetti Frisullo un politico lo è veramente. Di centrosinistra, quota Pd. Già vicepresidente della Regione Puglia capeggiata da Nichi Vendola, Frisullo fu arrestato nell’ambito dell’inchiesta barese su Giampaolo Tarantini. Insomma, il caso Ruby incrocia anche personaggi già noti alle cronache per i "vecchi" scandali del premier. Michele è stata ascoltata per 14 ore dal pm Ilda Boccassini. E oggi, ai microfoni de ilfattoquotidiano.it, dice: "Sono il testimone chiave di tutta l'inchiesta". A sostegno della sua dichiarazione sulla presunta professione della Rubacuori, c'è ancora una volta la sua agendina, dove Karima El Mahroug è rubricata come "Rubbie troia". Dice Michele: "E' stata lei a confessarmi di essere una prostituta". (www.ilfattoquotidiano.it)

Il golpista



Ieri sera nel suo ennesimo videomessaggio alla nazione, Bin Laden, pardon Silvio Berlusconi non ha mentito solo con le parole, come fa sempre, ma anche con le immagini e con la messa in scena. Per raccontare le sue bugie si è presentato avvolto nella bandiera tricolore, nelle vesti del presidente del consiglio.

Ha fatto finta che a parlare fosse un’istituzione della Repubblica, mentre è solo un cittadino accusato di reati molto gravi che sta sfruttando tutti i mezzi a sua disposizione per non rispondere a quelle accuse. E che umilia le istituzioni repubblicane usandole come uno scudo per proteggere la sua impunità.

Fingendo di parlare a nome delle istituzioni, Berlusconi ha attaccato tutte le istituzioni. Ha accusato la Procura di Milano di aver ordito una cospirazione ai suoi danni e di aver preparato un colpo di Stato. Ha ignorato la richiesta del presidente della Repubblica, che gli aveva chiesto di fare chiarezza presentandosi di fronte ai magistrati di Milano. Ha ingannato per l’ennesima volta i cittadini e persino i suoi stessi elettori, contrabbandando la moneta falsa delle sue bugie per oro colato, senza che nessuno potesse rispondergli.

Il presidente del consiglio fa così da quasi vent’anni. Sin dal giorno della sua famosa “discesa in campo”, nel 1994, comunica mandando in giro i suoi videomessaggi, così nessuno può smentirlo e sbugiardarlo. E’ la sua concezione della democrazia: quel che dice lui deve essere sacro e nessuno si deve permettere di dubitare o discutere.

Stavolta però ha superato ogni limite di decenza, è andato oltre quello che può essere tollerato in una vera democrazia. Un presidente del consiglio che minaccia pubblicamente di “punire” i magistrati che indagano su di lui non è più solo un impunito. E’ un golpista. Un presidente del consiglio che dopo aver fatto un danno così enorme alla credibilità dell’Italia nel mondo dice che “si sta divertendo” è un irresponsabile pericoloso per tutto il Paese.

Non si può accettare in silenzio che quest’uomo dica che non risponderà ai magistrati che indagano sulle sue malefatte perché altrimenti li legittimerebbe. Bisogna che tutta la parte migliore di questo paese gli faccia capire che non spetta a lui legittimare la magistratura, perché nessuno, nemmeno lui, può essere al di sopra delle leggi.

Oggi è dovere di tutti i democratici, dei politici, dei cittadini e delle Istituzioni, reagire a questa situazione vergognosa e pericolosa, fermare il golpe strisciante che Silvio Berlusconi sta tentando per difendere se stesso.
Se avesse un briciolo di dignità e di senso dello Stato si sarebbe già dimesso. Ma è inutile farsi illusioni. Berlusconi non si dimetterà mai. L’unico motivo per il quale si è fatto eleggere è per evitare di essere processato. Resterà al suo posto anche a costo di distruggere definitivamente l’immagine del suo Paese e di recare un danno enorme a tutti i suoi concittadini.

Deve essere allora il Parlamento a mandarlo a casa. I parlamentari devono smetterla di ragionare con i conti della serva, di pensare solo al rischio di non essere rieletti o alla paura di votare.

Di fronte al pericolo che oggi Berlusconi rappresenta per la vita stessa della Repubblica calcoli del genere sono ridicoli e – se reiterati – sanno di connivenza e complicità.
C’è una sola urgenza: fermare il golpista e mandarlo a casa prima che sia troppo tardi. Quei parlamentari che non lo fanno ora non meritano di rappresentare gli elettori. (www.antoniodipietro.it)

mercoledì 19 gennaio 2011

Sempre Ruby



Il presidente del Consiglio ha incassato questa mattina il rinvio a martedì prossimo della discussione alla Camera sul caso Ruby. Ma il materiale a disposizione dei pm non si limita a quanto trascritto negli atti inviati alla giunta per le autorizzazioni. Le telefonate tra la minorenne e il premier, infatti, sarebbero un centinaio. Ieri il presidente Napolitano in una nota ufficiale ripresa integralmente dall'Osservatore romano aveva parlato “di scelte politiche che possono essere compiute dal presidente del Consiglio“. Poi l'attacco di Avvenire, il quotidiano della Cei: “Chi ricopre incarichi pubblici deve essere sobrio e rispettare se stesso“. Eppure, di fronte al contenuto delle carte inviate dalla procura di Milano alla Camera, Berlusconi si è detto sicuro e tranquillo: “Dimettermi, siete matti? I giudici di Milano non hanno competenza, è solo un processo mediatico“. Ma, per quanto il Cavaliere possa minimizzare, nelle 389 pagine ci sono storie di orge, bunga bunga, ricatti, soldi e raggiri. Fede fa da cerimoniere e Nicole Minetti viene descritta come una protagonista dei sexy show. E oltre a Ruby che chiede 5 milioni per il suo silenzio, ci sono anche il direttore del Tg4 e Lele Mora che si accordano alle spalle del premier per spartirsi un prestito da 1,2 milioni. Dall'indagine emerge la figura di un primo ministro ricattabile. Una figura presa in giro dalle sue stesse ospiti che lo sfruttano il più possibile. (www.ilfattoquotidiano.it)

Alfano complice di Berlusconi


Il mio intervento di oggi alla Camera dei Deputati (www.antoniodipietro.it)

martedì 18 gennaio 2011

La tv del dolore di Barbara D'Urso


Arrivato solamente alla 2a puntata, chiude lo show di Barbara D'Urso. Le voci di una probabile sospensione del programma erano già circolate ieri. Dietro alla decisione di Canale 5, gli ascolti troppo bassi e non le critiche giunte dopo l'"intervista silenziosa" a Francesco Nuti di domenica sera. L'attore e regista toscano, che non può parlare in quanto porta ancora le conseguenze neurologiche dell'incidente domestico che cinque anni fa lo mandò in coma, era apparso per 6 lunghissimi minuti, visibilmente scosso. (REPUBBLICA)

Quando si deciderà di eliminare dal piccolo schermo questo avvoltoio del dolore, sarà sempre troppo tardi.

Fermatelo

La tragedia è quella dell’Italia, un paese una volta rispettato nel mondo e ora descritto come un puttanaio governato da un vecchio affetto da satiriasi compulsiva. La documentazione raccolta dalla Procura di Milano, oltre a fornire gli elementi a sostegno delle accuse di concussione e prostituzione minorile, è la descrizione di un girone dantesco popolato da decine di ragazze a pagamento che “si offrono al drago” (ricordate Veronica Lario?) sapendo di tenerlo in pugno e di poter pretendere somme gigantesche (i 5 milioni di Ruby, estorsione o ricatto fate voi). Ridicolo è il tentativo di difendere l’indifendibile. Lasciamo perdere l’indagato ridotto (ma chi lo consiglia?) a esibirsi in una penosa fiction televisiva condita di balle e di affermazioni incredibili per indecenza. Come quando, a proposito delle generose buste distribuite dall’apposito ragioniere alle prostitute reclutate, egli osa dire che trattasi di aiuti “per la loro casa, per le cure mediche, per l’educazione dei figli”. Con che faccia, quando basta guardare le immagini delle varie Karime e Marystelle addobbate di costosissime griffe. Sì, le cure mediche: Berlusconi vada a raccontarlo alle donne che ogni giorno nelle fabbriche, negli uffici, nei negozi si spaccano la schiena per guadagnare pochi euro, ma onestamente.

Lo spettacolo peggiore è quello della corte di ruffiani e papponi che, per non farsi sottrarre il vitello d’oro a cui devono soldi e poltrone in quantità, strillano contro la magistratura e gridano al golpe. Fanno finta di non vedere come si è ridotto il loro dio e padrone, un uomo probabilmente malato (ancora l’ex moglie Veronica). Condannato alla solitudine perché non c’è un cane tra i suoi presunti amici che abbia avuto il coraggio (e la misericordia) di dirgli la verità. Continueranno invece a mentirgli e a sobillarlo verso la soluzione finale. Una nuova devastante campagna elettorale per regolare i conti con le toghe rosse e gli altri fantasmi partoriti da una mente patologica. E per ottenere cosa poi? Altri festini, altre menzogne, altre vergogne. (Antonio Padellaro - IL FATTO QUOTIDIANO -)

lunedì 17 gennaio 2011

Berlusconi : Ho un rapporto stabile

Di sicuro, dopo la cazzata della fidanzata, i peones berlusconiani dovranno trovare la sciacquetta che si presterà per soldi a vestire (questa volta non svestire) i panni della fortunata.

Ancora Ruby


Le trecento pagine dell'inchiesta sono visionate in queste ore dai membri della Giunta per le autorizzazioni a procedere. Non vengono fotocopiate e solo due commissari alla volta ne possono prendere visione. Ma dopo averle lette, raccontano ai cronisti i contenuti. Chiaro il quadro dell'accusa: Nicole Minetti, Lele Mora e Emilio Fede avrebbero "selezionato" e "indotto" alla prostituzione "un rilevante numero" di ragazze per l'utilizzatore finale. Nel frattempo emergono nuovi particolari dell'indagine. Su tutte, la telefonata intercettata tra l'ex igienista dentale del premier e un'amica di Rimini invitata alla festa di Arcore: "Ti briffo - dice la consigliera Pdl - , ne vedrai di ogni". In un'altra conversazione la Minetti parla con il premier. Il Cavaliere ostenta sicurezza: "Non importa, tanto non potranno dimostrare che io sapevo che è minorenne". Nel pomeriggio di ieri sono poi trapelate indiscrezioni sulla strategia per eludere gli interrogatori a Milano, anche se gli avvocati Longo e Ghedini smentiscono. La procura di Milano: "Legge uguale per tutti, avanti nel rispetto della Costituzione. Oggi il ministro della Giustizia Angelino Alfano risponde all'Anm: "Non vogliono lo scontro tra politica e magistratura? Da che pulpito...". (www.ilfattoquotidiano.it)

Passaparola di Marco Travaglio (dal blog www.beppegrillo.it)

domenica 16 gennaio 2011

L'Harem di Berlusconi



Mentre gli avvocati del Cavaliere invocano il legittimo impedimento e dicono che "non è ancora deciso se il premier si presenterà davanti ai pm", le carte dell'inchiesta vengono spedite a Roma, per passare al vaglio della Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio. Qui si deciderà se dare il via alle ispezioni negli uffici di Giuseppe Spinelli, il "cassiere" del presidente del Consiglio che, secondo le ricostruzioni, preparava le buste con le retribuzioni per le ragazze che partecipavano alle serate a villa San Martino. I documenti contengono verbali di interrogatori, brani di intercettazioni, tabulati telefonici e testimonianze di ragazze che confermerebbero, tra l'altro, le notti passate da Ruby "Rubacuori" ad Arcore. Tra rivelazioni e testimonianze scomode, come quella dell'ex compagna di scuola di Nicole Minetti che racconta nel dettaglio le feste (con tanto di travestimenti hot da parte delle ragazze in gara tra loro per essere scelte), si scopre come l'affaire Ruby sia soltanto un esempio del funzionamento di un sistema collaudato. Che parte dalla scuderia di Lele Mora e passa attraverso la gestione scrupolosa della Minetti, traghettatrice delle ragazze dagli appartamenti in comodato d'uso alla residenza brianzola del Capo. Intanto l'opposizione insorge. Secondo Nichi Vendola, per Berlusconi è arrivato il momento della “caduta degli dei. Peccato, però, che la colonna sonora non sia di Wagner, ma di Apicella”. Il senatore del Pd Luigi Zanda a ilfattoquotidiano.it dice: "Un premier ricattabile non può continuare a governare, ne va della sicurezza nazionale”. (www.ilfattoquotidiano.it)

sabato 15 gennaio 2011

Il vuoto di Torino


Impiegati da una parte, operai dall'altra. Il referendum della Fiat è passato per pochi voti e ha spaccato in due i lavoratori. Ha creato un vuoto pericoloso che sarà in qualche modo riempito. I lavoratori che si sono opposti al piano (misterioso) di Marchionne sono senza rappresentanza politica, senza riferimenti. In questo sabato mattina Torino, con il suo cielo grigio e nuovi spartacus per le strade, persone che hanno messo in gioco la loro dignità e hanno perso, è un inizio di qualcosa che ci è ignoto.
Il Governo si è schierato con il mercato. Il grande infame mercato della globalizzazione dove c'è sempre uno schiavo più schiavo di te e il padrone, la multinazionale, le banche scelgono il più obbediente. L'opposizione, che si oppone sempre molto meno di Ruby, ha abbandonato i dipendenti Fiat. E' come se i sovietici si fossero alleati con i tedeschi nella seconda guerra mondiale (e in effetti andò così per un paio d'anni). Fassino e Chiamparino sono stati i migliori sponsor di Marchionne, se fossero stati operai avrebbero votato sì. Le mani di Veltroni o di D'Alema non hanno calli, il loro stipendio di un mese è superiore alla paga di un anno di un turnista. Anche chi ha votato sì ha perso. Sa che lo Stato si schiererà con la prossima Fiat, la prossima Telecom, la prossima Finmeccanica, mai con lui. Per salvare il posto di lavoro si adeguerà ancora e ancora, fino a perdere ogni diritto. Il profitto non è mai sazio.
La Confindustria potrà ora permettersi di tutto. Sarà sufficiente attuare il "ricatto occupazionale" e i padri e le madri di famiglia cederanno. A casa ci sono i figli, l'affitto, la spesa, le bollette. Quanto può durare? Senza pace sociale, senza rappresentanti, viene a cadere qualunque regola. Se la legge della giungla vale per il padrone può valere anche per l'operaio. Il terrorismo, almeno al suo nascere, trovò consenso e collaborazione nelle fabbriche. Erano l'acqua in cui nuotava. Quando si asciugò, scomparvero. Passarono però dieci anni di sangue.
Il vuoto di Torino non rimarrà tale per lungo tempo. Un Governo (e un'opposizione) non può e non deve schierarsi con una parte sociale come hanno fatto le caricature che ci troviamo a Roma. Schierarsi vuol dire escludere. Il Parlamento dovrebbe rappresentare tutti gli italiani, in particolare le classi più deboli. La natura ha il terrore del vuoto. Io ho il terrore che questo vuoto, se non riempito, ci riporti indietro di quarant'anni. In quel caso non ci saranno né vinti, né vincitori. (www.beppegrillo.it)

venerdì 14 gennaio 2011

Bunga bunga con la minorenne


All'indomani della sentenza della Corte Costituzionale che ha demolito il legittimo impedimento riesplode il caso Ruby. Trovate le immagini delle feste nelle ville del premier nel pc sequestrato il 28 ottobre alla giovane marocchina, con la quale secondo i magistrati Berlusconi ha avuto rapporti sessuali a pagamento. Il premier iscritto nel registro degli indagati dal 21 dicembre. Oggi gli è stato notificato l'invito a comparire di fronte ai magistrati, tra il 21 e il 23 gennaio prossimi. Venerdì, sabato o domenica. Giorni che normalmente il premier passa nella residenza di Arcore e in cui gli sarà difficile addurre legittimi impedimenti. Al premier viene contestata anche la concussione per la telefonata con cui, secondo le ipotesi di accusa, costrinse la questura a liberare la minorenne marocchina Ruby per poi darla in affido a Nicole Minetti. L'ex igienista dentale è accusata di violazione della legge Merlin. E' stata lei, secondo i magistrati, a indurre la giovane marocchina, e probabilmente altre ragazze, alla prostituzione. Indagati per induzione alla prostituzione anche Lele Mora e Emilio Fede. Questa mattina la polizia ha perquisito le abitazioni e gli uffici dei protagonisti del vorticoso giro di prostitute che frequentavano le abitazioni del presidente del Consiglio. In corso gli interrogatori di decine di ragazze. I riscontri alle loro dichiarazioni trovati grazie a un lungo lavoro di incrocio di tabulati telefonici. A palazzo Grazioli girandola di esponenti Pdl. Berlusconi vede i suoi legali Longo e Ghedini. Poi arrivano Alfano, Letta, Cicchitto, Bonaiuti, Gasparri, Sacconi. La reazione del Pdl è immediata: Gelmini parla di "giustizia ad orologeria" e "persecuzione". Per Stracquadanio sono solo "porcherie da guardoni" portate avanti da "talebani della giustizia". (www.ilfattoquotidiano.it)

Le vignette di Vauro ad Annozero del 13 01 2011

Marco Travaglio ad Annozero del 13 01 2011

giovedì 13 gennaio 2011

Legittimo impedimento, il parere di Antonio Di Pietro

"La sentenza della Consulta sul legittimo impedimento ha lasciato in piedi un comma che deve essere abbattuto con il referendum altrimenti dal giudice Berlusconi non ci andrà mai". Lo dice il leader dell'Idv Antonio Di Pietro commentando con i giornalisti alla Camera la decisione della Corte Costituzionale che ha in parte bocciato la legge sul legittimo impedimento. Avendo riconosciuto "che costituisce legittimo impedimento qualsiasi attività preparatoria e consequenziale, nonchè ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo - spiega l'ex pm - è stata lasciata una scappatoia al premier, la Consulta ha fatto rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta da parte della Corte stessa". "Conoscendo Berlusconi - ha attaccato Di Pietro - anche quando andrà in bagno dirà che è un'attività consequenziale a quella di governo" e "da parte del giudice è invalutabile se l'attività è davvero preparatoria e coessenziale". "Insomma - ha concluso - si va a referendum." (L'UNITA')

Consulta, stop in parte al legittimo impedimento



Silvio Berlusconi tornerà presto sotto processo. Con 12 voti a favore e tre contro la Consulta ha in parte bocciato e in parte interpretato la legge sul legittimo impedimento. La Corte Costituzionale ha posto diversi paletti alla provvedimento nato per mettere al riparo il premier Berlusconi dalla ripresa dei suoi tre dibattimenti (Mills, Mediaset e Mediatrade). Saranno i giudici a decidere caso per caso se l'eventuale impedimento a comparire in udienza presentato dal premier sia valido o meno. Di fatto si torna alla situazione antecedente alla legge ad personam voluta dal centrodestra per impedire che il presidente del Consiglio e tutti i ministri venissero giudicati. Anche in Italia la legge resta uguale per tutti. Ma Sandro Bondi parte all'attacco: "Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione ma anche dei principi fondamentali di ogni ordine democratico". (www.ilfattoquotidiano.it)


Soddisfatti a metà, esultiamo alla decisione che siano i giudici a valutare i reali casi d'impedimento. Non ci stupisce l'intervento del peones Bondi accorso in aiuto del suo padrone.

mercoledì 12 gennaio 2011

Il trappolone a Berlusconi


Più che un tandem sembra una staffetta. Quando Pierferdinando Casini boccia il federalismo facendo irritare la Lega, Gianfranco Fini si mostra dialogante. Quando al contrario, sulla base di un'intervista rilasciata dal leader Udc, si ipotizza l'appoggio dei centristi al governo, è Fini che, sempre a mezzo stampa, garantisce: “Se si andasse al voto, io e Casini staremmo insieme”. Le esternazioni dei due convergono su un aspetto: è necessario tenere in vita l’esecutivo, mostrandosi ben disponibili a far sì che non cada così da evitare, responsabilmente per il Paese, le elezioni anticipate. Elezioni delle quali però, sottolineano chiaramente i leader di Udc e Fli, non c’è alcun timore. La “piena disponibilità” cela l’assoluta certezza che la maggioranza non riuscirà a durare a lungo. Inutile, quindi, dichiarare guerra aperta. Meglio giocare sul logoramento, per portare Berlusconi alle dimissioni facendo in modo che tocchi a lui, in campagna elettorale, l'onere di spiegare agli italiani le ragioni della crisi. (www.ilfattoquotidiano.it)

La Giustizia sarà inevitabile e inesorabile

Il referendum proposto dall’Italia dei Valori prevede la bocciatura totale di tutta la legge sul legittimo impedimento, anche del titolo stesso. Quella legge che Berlusconi si è fatto fare per evitare i processi. Qualsiasi decisione della Corte costituzionale che dovesse salvarne anche una sola virgola, non può che portare a un referendum.
Questo perché noi dell’Italia dei valori abbiamo previsto proprio l’abrogazione totale di una legge illegittima, immorale, contraria al buonsenso comune. L'idea di non farsi processare semplicemente perché si è a capo di un governo è assurda.
A questo punto, con l’ammissibilità del referendum e con un giudizio di illegittimità costituzionale pendente, la resa dei conti con la giustizia per Silvio Berlusconi si avvicina. Anzi, è inevitabile e inesorabile. E così deve essere, perché tutti siamo uguali davanti alla legge e, come hanno chiesto quasi un milione di cittadini, se non ci dovesse essere l’illegittimità dichiarata dalla Corte ci sarà un referendum.
Ritorna così la stagione dei referendum e i cittadini finalmente potranno dire la loro su alcuni temi fondamentali: volete o no le centrali nucleari? Volete o no che tutti siano uguali di fronte alla legge? Volete che l'acqua sia un bene pubblico? Presto, in primavera, i cittadini risponderanno.

(www.antoniodipietro.it)

martedì 11 gennaio 2011

Fiat, Marchionne divide PD e sindacati

Sinistra spaccata, sindacati divisi, governo alla finestra. E Sergio Marchionne che, con le sue strategie anche di comunicazione, traccia un solco sempre più netto tra le scelte aziendali e la contrattazione sindacale così come è stata intesa in Italia nel dopoguerra. A due giorni dal referendum tra i lavoratori di Mirafiori, il caso Fiat è sempre meno una semplice questione industriale. E sempre più politica. “Marchionne insulta ogni giorno il Paese”, tuona oggi il leader della Cgil Susanna Camusso nella relazione introduttiva all’assemblea nazionale delle Camere del lavoro. Un attacco che riallinea la segreteria centrale del sindacato alle posizioni del settore dei metalmeccanici, quella Fiom che per prima si è battuta contro l’accordo che, sulla scia di Pomigliano, ha portato di fatto anche lo storico stabilimento torinese al di fuori del contratto nazionale.

Camusso accusa Fiat di non rendere noti i dettagli del piano industriale Fabbrica Italia: “Il Lingotto sbaglia tempo e sbaglia risposte, riducendo i diritti dei lavoratori e la loro fiducia sulle prospettive. Ma è evidente la sua debolezza industriale, come il mistero che continua a circondare il piano Fabbrica Italia”. Parole che fanno inevitabilmente riferimento alle ultime dichiarazioni di Marchionne. L’ad del Lingotto ieri ha assestato un nuovo colpo alla dialettica sindacale affermando da Detroit che “se al referendum non vincerà il sì non faremo l’investimento, di ‘piani b’ ne abbiamo a volontà”. Non solo. L’amministratore delegato di Fiat ha detto chiaramente di non temere un eventuale ricorso della Fiom al tribunale del lavoro e poi, provocatoriamente ha elogiato le dinamiche sindacali degli Stati Uniti: “Che differenza con il sindacato Usa. Con loro si discute, ma quando si fa un accordo, si passa ai fatti”.



Il referendum, dunque, secondo Marchionne, non chiuderà la partita. Del resto lo stesso segretario Fiom Maurizio Landini ha fatto capire di non volersi fermare nemmeno di fronte a un esito netto e contrario alle posizioni della sua organizzazione sindacale. Se il referendum è servito a ricompattare almeno la Cgil (vedremo se solo sulla carta e per quanto) non si può dire altrettanto per la politica. A finire in tilt, in particolare, è il partito democratico. Ieri Pierluigi Bersani, dopo l’incontro con Landini, non ha rilasciato dichiarazioni. Non riuscendo a trovare una sintesi, in serata si è limitato a dire che “il pluralismo del Pd sul tema continuerà”. Pluralismo, in realtà, è sinonimo di divisione. L’ala sinistra del partito, guidata dall’ex segretario Cgil Sergio Cofferati, offre pieno sostegno alla Fiom. Il candidato sindaco di Torino Piero Fassino era stato il primo a rompere gli indugi dicendo: “Se fossi un lavoratore Fiat voterei sì”. A chiudere il cerchio è Massimo D’Alema, secondo cui il Pd ha preso “una posizione chiara, che compete a un partito politico ma non è certamente quella di partecipare al referendum”. Posizioni libere, indipendenti e poco chiare che spingono Cisl e Uil a chiedere al partito “più coraggio”.

Anche Confindustria, sminuita nella sua importanza da Marchionne che si è sfilato dall’associazione degli industriali, è costretta a stare a guardare. O peggio a rincorrere: Emma Marcegaglia non può far altro che “suggerire” a Fiom di firmare l’accordo e poi chiedere chiarezza sugli investimenti, considerando evidentemente fondata l’ipotesi dell’amministratore delegato di sbaraccare Mirafiori e spostare tutto negli States o in Canada.

E il governo? Tace e offre una sponda, evidentemente compiaciuto dalla posizione di Marchionne e dall’effetto che sta producendo sui sindacati e sul centrosinistra. L’esecutivo è nel mirino del segretario Cgil: “Se Fiat può tenere nascosto il piano – spiega Susanna Camusso – è anche perché c’è un governo che non fa il suo lavoro ma è tifoso e promotore della riduzione dei diritti”. L’assenza totale del governo dalla contrattazione e dagli ultimi investimenti Fiat non può essere letto solo come volontà di lasciare che un’azienda faccia le sue scelte. La casa del Lingotto, anche grazie ai contributi di cui ha beneficiato nel corso dei decenni, si è sempre mossa sotto la guida dei governi in carica. Questa volta è andata diversamente. E se la politica del governo può essere interpretata come un silenzio-assenso, è altrettanto vero che l’assenza di palazzo Chigi dalla vicenda è stata interpretata da molti analisti come un segno di debolezza.

Chi, nel governo, ha deciso di scendere in campo, è il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, che trova il modo per prendersi dei meriti elogiando l’amministratore delegato: “Marchionne sta copiando Brunetta”, dice il ministro. “Quello che ho fatto io è esattamente quello che sta cercando di fare Marchionne nelle fabbriche. Lui però ha un’arma in più di me, perché ha dalla sua il mercato: io non posso dire me ne vado”. (Simone Ceriotti - IL FATTO QUOTIDIANO -)

Il ricatto di Marchionne


Marchionne è solo un dipendente degli Agnelli. E' pagato per farli guadagnare e per agire da parafulmine. Nient'altro. La sua crudezza di linguaggio (e di azione) che scade nella pura provocazione per i cassintegrati, i licenziati e per gli operai che accettano ogni condizione per non perdere il posto di lavoro, è inaccettabile. I suoi padroni gli mettano la museruola. Se la Fiat ha ogni diritto di spostare la sua produzione all'estero, gli italiani hanno un diritto ancora più grande di presentarle il conto.Per decenni i profitti degli Agnelli e dei grandi azionisti li hanno pagati i contribuenti italiani, dalla cassa integrazione quando la Fiat aveva i conti in rosso, ai contributi per le rottamazioni, agli incentivi per le fabbriche al Sud. Gli Agnelli, la cui voce non si è ancora sentita durante la trattativa, facciano pure armi e bagagli, ma prima paghino le decine di miliardi di cui sono debitori allo Stato italiano. (www.beppegrillo.it)

domenica 9 gennaio 2011

Problemi di lingua



Giorgio Napolitano ritiene che la mancata estradizione di Cesare Battisti sia dovuta anche all'incapacità della cultura e della politica italiana di trasmettere il significato vero degli anni del terrorismo in Italia. "Non siamo riusciti a far comprendere anche a paesi amici vicini e lontani cosa hanno significato", ha detto in un intervento fuori programma nella sala 'preconsigliare' del comune di Ravenna. (ANSA)

La verità è un'altra invece. L'Italia ha perso credibilità, è il centro della più squallida politica a causa di questo governo, e anche un Paese come il Brasile ci ha spernacchiato alla grande.



Napolitano e la nascita dell'Italia

Napolitano ha detto: "Anche il nord deve avere coscienza di come nacque l'Italia" ignorando che quasi nessuno sa ancora come "nacque l'Italia" al Nord come al Sud. In particolare al Sud che fu occupato (non liberato dai Savoia), depredato (la cassa dei Borboni fu trasferita a Torino seduta stante), diffamato e sterminato (i briganti erano spesso patrioti e furono centinaia di migliaia le vittime), costretto all'emigrazione a milioni (prima dei Savoia l'emigrazione era pressoché inesistente), obbligato alla leva militare e a un numero interminabile di guerre (dalla terza guerra di indipendenza contro i "fratelli veneti" alla seconda guerra mondiale). Napolitano che è per l'appunto di Napoli, si rechi nel Meridione e spieghi a Bari, a Palermo, a Reggio Calabria con parole sue come "nacque l'Italia" e perché le mafie si sono diffuse dopo l'Unità. (www.beppegrillo.it)

venerdì 7 gennaio 2011

I ragazzi dello zoo di Minzolingua

Sia chiaro una volta per tutte: noi adoriamo Augusto Minzolingua. Purtroppo, lui non ricambia. Almeno fino a ieri, quando ha annunciato dalle colonne di un settimanale a caso – Panorama (Mondadori, Berlusconi) – che replicherà alla “Minzoparade”, la rubrica del nostro sito dedicata alle stronzate più solenni del suo tg-cabaret, nientemeno che con una nuova rubrica del Tg1 dal titolo davvero fantasioso: “Media”. Lì, informa (si fa per dire), “risponderemo a Minzoparade e attacchi vari da metà gennaio, monitorando cantonate e faziosità dei colleghi”. Ci pare giusto, e anche comprensibile: da quando è lui a dirigerlo, il Tg1 non solo è abbandonato ogni giorno da decine di migliaia di telespettatori (850 mila nel primo anno) in fuga verso un tg vero, tipo quello di La7. Ma non viene mai citato da nessuno, visto che non dà notizie, a parte quelle false. E non fa opinione, visto che l’unica opinione che ospita è la sua (non di Minzolini: di Berlusconi).

Gli unici a citare il Tg1, a parte i giudici che reintegrano i giornalisti epurati, siamo proprio noi con la Minzoparade. Ora lui, per gratitudine, cita la Minzoparade. Qualcuno lo accuserà di uso privato del servizio pubblico, ma lui avrà buon gioco a dimostrare che il suo non è servizio pubblico, è servizio privato di Berlusconi, dunque è normale fare uso privato di servizio privato. Per informazioni, leggere il bel libro di Maria Luisa Busi, “Brutte notizie” (Rizzoli), che racconta il Minzolincubo dall’interno, “come l’Italia vera è scomparsa dalla tv”. Maria Luisa è pessimista: “Se una volta ci volevano i carabinieri per controllare le piazze, oggi per avere il dominio della piazza televisiva bastano un direttorissimo, qualche dirigente fedele, l’arbitrio sulle carriere, il potere di intimidire chi dissente… Il gioco appare ormai irrimediabilmente truccato. Il timore di molti è che i danni arrecati alla credibilità del Tg1 siano difficilmente rimuovibili nell’opinione pubblica, in futuro…”. Noi invece, come tutti gli inguaribili ottimisti, pensiamo che il Direttorissimo può ancora fare molto peggio. I servizi sulla medusa-cubo, lo scanner per scarpe su misura, il parcheggio in doppia fila, le mutande anti-scippo, i corsi per maggiordomi, i segreti del peperoncino, i vasetti per la pupù dei bambini alla moda (i vasetti, non la pupù) e le pompette salva-vino che tanto scandalizzarono i telespettatori non ancora lobotomizzati, sono nulla al confronto di quel che il nostro eroe è in grado di cucinare in futuro. C’è una progressione geometrica nella fabbricazione di armi di distrazione di massa che lascia ben sperare per il futuro. Le classifiche settimanali della Minzoparade sono lì a dimostrarlo.

Se, nei primi mesi di cura Scodinzolini, il Tg1 era tutto un proliferare di meduse, molluschi e insetti in omaggio a Vespa e ad altri esseri incapaci di posizione eretta, ultimamente lo zoo di Minzolingua ha virato decisamente verso altre specie animali: il cane pirata di Lecco, il Cercocebo (“un esemplare di scimmia rarissima nato a fine novembre nel Bioparco di Roma”), Charlie lo scimpanzè tabagista prematuramente scomparso nello zoo di Città del Capo perché non riusciva a smettere di fumare, Gunther “pastore tedesco benestante”, Henry “il superporceddu inglese che cresce a dismisura diventando un maialone” (senz’allusioni al premier, s’intende), Honey il labrador di Washington che pesca salmoni nelle acque dell’alluvione, Kalù lo scimpanzè milionario, Olimpia l’aquila igienista che tifa Lazio e fa il bagno in una vasca allestita dal presidente Lotito, Michele l’aristogatto soriano, i porci neri dei Nebrodi che “danno sapori semplici ma intensi sulla tavola delle feste” e Pascià il cane bovaro delle Fiandre che tiene in casa quattro femmine (sempre senz’allusioni). Ecco, in attesa della controrubrica di Minzolingua, mettiamo le mani avanti: noi ci sforziamo, ma non riusciremo mai a eguagliarlo. Chapeau. (Marco Travaglio - IL FATTO QUOTIDIANO -)

Il Tricolore



Il capo dello Stato apre le cerimonie per il 150esimo anniversario a Reggio Emilia, dove nel 1797 nacque la bandiera.

mercoledì 5 gennaio 2011

La beffa delle tasse : Marchionne paga la metà dell'operaio



Gli operai, anche quelli in cassa integrazione, pagano il doppio delle tasse dell’ad del Lingotto, pur guadagnando infinitamente di meno, anche se considerati tutti insieme. «La modernità dischiusa da Fabbrica Italia è efficacemente rappresentata da due dati» denuncia il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, «nel 2011 i capital gain di Marchionne sulle sue stock options Fiat sono attesi in circa 120 milioni di euro, una somma superiore ai salari e stipendi percepiti da tutti gli operai e quadri delle Carrozzerie Mirafiori se lavorassero a tempo pieno per tutto l’anno, ma purtroppo faranno tanti mesi di cassa integrazione».

E ci si mette pure il fisco: «Sui suoi stellari capital gain, Marchionne verserà, come gli altri azionisti Fiat, un’imposta sostitutiva del 12,5%. Gli operai sulla cassa integrazione e sui loro salari pagheranno in media un’Irpef del 25%, i quadri avranno un carico intorno al 33%. È il mondo post ideologico tanto caro e celebrato dal nostro modernissimo ministro Sacconi». (L'UNITA')

La bolla di Facebook



Goldman Sachs ha investito 375 miloni di dollari in Facebook valutandola 50 miliardi di dollari. Ad ognuno dei 500 milioni di utenti di Facebook è stato attribuito il valore di 100 dollari. Senza iscritti Facebook varrebbe zero. Se io e mio figlio, ad esempio, cancellassimo il profilo, il valore di Facebook diminuirebbe all'istante di 200 dollari. Il capitale sono gli utenti, i loro contenuti e le loro reti di relazione e non la piattaforma, ma Facebook è un mondo chiuso in sé stesso nell'universo di Internet, chi vi entra non vi può più uscire. "Lasciate ogni speranza, o voi che entrate".
Se in futuro altre società fornissero una rete sociale con servizi migliori, l'utente di Facebook dovrebbe, in teoria, poter migrare i SUOI contenuti senza chiedere il permesso a Mark Zuckerberg. Nei fatti oggi non può farlo. Il valore economico di Facebook dipende dai miliardi di informazioni personali inserite. Chi è il proprietario di questi dati, dell’“identità digitale”? Facebook o l'utente? Dovrebbe essere l'utente, l'identità è sua, foto, film, testi sono frutto del suo lavoro, sono "lui", sono "lei". Queste informazioni sono però utilizzabili solo all’interno di Facebook. Chi si registra su un'altra rete sociale deve reintrodurre tutti i dati. Ogni “identità digitale” è in sostanza proprietà di Facebook o della rete sociale in cui è stata inserita. Da tempo è allo studio uno standard per una "identità digitale universale" per accedere a ogni rete sociale dove contenuti e relazioni rimangono di proprietà dell'utente. La nostra "identità digitale" è sempre più importante per le nostre relazioni sociali, ma può essere cancellata in ogni momento da Facebook e noi con essa. Facebook dovrebbe distribuire i soldi ricevuti dalla Goldman Sachs ai suoi utenti che lavorano a cottimo e gratis fornendo informazioni che possono essere usate per attività marketing. Con queste premesse, se il monopolio di fatto di Facebook finisse, i capitali di Goldman Sachs avrebbero creato l'ennesima bolla di Internet. E chi ci rimette i soldi nelle bolle? I piccoli azionisti o le grandi banche? Di certo non Goldman Sachs che potrebbe guidare la collocazione in borsa di Facebook nel 2012 con ritorni enormi. Potrò sbagliarmi, ma per sicurezza di azioni Facebook io non ne comprerò. (www.beppegrillo.it)

lunedì 3 gennaio 2011

Che Lula ci dichiari guerra

Il blog intervistò a suo tempo Alberto Torregiani, rimasto semiparalizzato durante un attentato nel quale fu ucciso il padre Pier Luigi. Uno degli attentatori era Cesare Battisti, condannato per quattro omicidi. Il video intervista risale al 30 marzo 2007. Si chiese allora che Battisti venisse consegnato alla giustizia italiana. Nulla è avvenuto in quasi quattro anni di governi Prodi e Berlusconi. Perché il caso Battisti esplode solo adesso, diventa un evento di rilevanza mondiale e i giornali gli dedicano da una settimana la prima pagina? Dopo l'appartamento del cognato di Fini, la morte di Sara e il bunga bunga, l'ennesima notizia di distrazione di massa. Importante quanto si vuole, ma meno delle fabbriche che chiudono, della crisi economica, della presenza in Parlamento di senatori condannati in secondo grado per mafia. Una notizia che ripetuta per giorni e giorni diventa l'unico vero problema degli italiani, la maggior parte dei quali non sa neppure chi è Battisti. Che Lula ci dichiari guerra e così sia. (www.beppegrillo.it)

Passaparola di Marco Travaglio (dal blog www.beppegrillo.it)