Quando le agenzie di stampa hanno battuto la notizia dell’apertura di un fascicolo giudiziario contro di me e Antonio Di Pietro, per vilipendio del presidente della Repubblica, devo confessarvi che la prima reazione è stata di dispiacere. Non tanto per essere stato messo nel mirino dalla magistratura: non è la prima volta e non farò cortei in nome della libertà di stampa. E nemmeno per aver dato un dolore a nonno Giorgio: non ho offeso Napolitano e neppure l’ho ingiuriato. Il dispiacere mi veniva dal fatto d’essere messo sullo stesso piano di Antonio Di Pietro: non ho dimestichezza con le manette, non ho restituito soldi in scatole di scarpe, che ho dunque da spartire con l’ex pm?Superato però lo stupore per un simile accostamento e senza per questo ringraziare la procura della Repubblica di Roma, credo siano necessarie alcune considerazioni. Premetto che non sono un giurista, ma forse ho più buon senso di tanti costituzionalisti: non può sfuggire che a pochi giorni dalla bocciatura del lodo Alfano si scopre che in Italia c’è un cittadino più uguale degli altri. La Corte costituzionale ha bocciato lo scudo per le alte cariche dello Stato dicendo che non rispetta l’articolo 3 della Carta fondativa della Repubblica, in base al quale siamo tutti uguali di fronte alla legge. Noi già sapevamo, non per scienza ma per esperienza, che non era così. Ora i pm ci danno ragione. Un cittadino, quello che sta sul colle più alto, non è come tutti gli altri. Lui è addirittura esente da critiche e non può neppure essere sospettato di fare un po’ di vacanze. Qual è infatti la mia colpa? Cosa avrei scritto di così grave da essere sospettato di vilipendio del capo dello Stato?Solo la notizia - proveniente da fonte autorevole e supportata da un contesto innegabile - che il presidente aveva fatto tardare l’arrivo in Italia delle bare dei soldati caduti a Kabul per farlo coincidere con il suo rientro dal Giappone e avere il tempo di gustare un piatto di fusillotti Rummo. Cosa c’è di grave? Del presidente del consiglio si può dire tutto e di quello della Repubblica no? Oppure offende parlare di fusillotti? Merito per questo cinque anni di carcere come prevede il codice penale? Scopro dunque che non solo Napolitano non può essere trascinato di fronte a un tribunale per ciò che avrebbe commesso, come accadde a Scalfaro, ma neppure può essere sfiorato dal sospetto d’essersi goduto una vacanza nel Sol Levante. E questa è una novità.
Ai tempi di Giovanni Leone l’Espresso dipinse il capo dello Stato come un clown, raffigurandolo in copertina vestito da pagliaccio, eppure nessuno aprì fascicoli per vilipendio. Ma forse è proprio qui il punto: probabilmente ci sono due pesi e due misure. Se le critiche al presidente le fa, rasentando l’ingiuria, un settimanale di sinistra, merita una medaglia. Se le fa, senza offendere nessuno, un giornale di centrodestra, al direttore tocca la galera. E qui veniamo alla seconda considerazione. Da settimane assistiamo a una campagna giornalistica contro il presidente del consiglio, accusato di minacciare la libertà di stampa con citazioni in giudizio. Repubblica e l’Unità, insieme con la Federazione della stampa, hanno portato in piazza decine di migliaia di persone per protestare contro il bavaglio ai giornali. Bene: ora li voglio vedere. Faranno qualcosa secondo voi? Grideranno alla censura, all’intimidazione, al regime? Chiederanno che sia abolito il reato di vilipendio del presidente? Il sindacato dei giornalisti (unico, come nei regimi) non ha espresso alcuna solidarietà a Libero, ha addirittura definito «sgradevole» quanto scritto dal nostro giornale e solo per salvare la faccia di bronzo ha detto che questa non è materia da tribunali. Bella forza, non lo è perché l’offesa non c’è. I nostri Don Abbondio continuano a perseverare nell’errore, come hanno sempre fatto in questi anni, tacendo di fronte alle decine di querele che premier, ministri, sindaci e perfino sindacati hanno presentato contro di me e i giornali che ho diretto. Ebbene sì, confesso. Questa volta mi sacrifico volentieri all’ennesima denuncia, voglio essere processato. Così sarà possibile dimostrare quanta ipocrisia regna nelle redazioni e quanto l’ideologia di certi giornali abbia mascherato la realtà. Finalmente vedremo il colore di tanti colleghi e paladini della libertà che mi giudicano: il rosso. E mi auguro sia di vergogna, perchè non siamo al vilipendio ma al reato di lesa maestà e, per una volta, sono io che non ci sto. (MAURIZIO BELPIETRO - LIBERO - )
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giano
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