Era il 23 novembre 1993. Silvio Berlusconi andò ad inaugurare l’Euromercato a Casalecchio di Reno, Bologna, e disse che tra Gianfranco Fini e Francesco Rutelli, nelle elezioni del Sindaco di Roma, avrebbe votato l’allora segretario del Movimento sociale. Il quotidiano Repubblica il giorno dopo titolò il «Cavaliere nero» perché secondo loro nero era Gianfranco Fini. Sedici anni dopo, e siamo ad oggi, Gianfranco Fini non è più nero, Repubblica ne esalta le virtù e lo usa come un bastone per darlo in testa al medesimo Berlusconi. Quante cose cambiano in soli sedici anni. Ciò che non cambia mai è Repubblica che, di riffa o di raffa, va comunque male. Il mondo evolve mentre Repubblica è fissa in una sorta di presente eternità sotto il manto protettivo di Scalfari che, come una sorta di divinità protegge, guida ed ispira il giornale da lui fondato. Amen.
Berlusconi in quella occasione giustificò anche perché avrebbe votato Fini e disse così: «Rappresenta bene i valori del blocco moderato nei quali io credo: il libero mercato, la libera iniziativa, la libertà di impresa, in una parola il liberismo». E sempre nella stessa occasione disse che se le forze moderate non si sarebbero unite lui avrebbe dovuto assumersi le sue responsabilità. La storia successiva è nota a tutti: Movimento sociale, la svolta di Fiuggi, Alleanza Nazionale, via la Fiamma Tricolore, il Popolo della Libertà. A quel tempo Berlusconi fu politicamente scorretto indicando in Fini il suo candidato ideale a sindaco capitolino. Oggi Repubblica indica in Fini un soggetto del centrodestra politicamente corretto nel senso che dice cose che lisciano il pelo a una vaga e inconsistente e presunta opinione pubblica.
Sui motivi per i quali Gianfranco Fini abbia fatto questa svolta si sono dette molte cose, il Giornale ha analizzato a fondo quello che potremmo definire il progetto politico del presidente della Camera. Si è indagata la questione che neanche Freud sul suo lettino: invidie, rapporti personali irrisolti, gelosie, fraintendimenti, indelicatezze. Sembrerebbe quasi che il popolo e ciò che il popolo pensa ed esprime alle elezioni politiche non conti. Ora Repubblica è troppo in alto per occuparsi di questioncelle come «ciò che pensa il popolo». Ma Fini no, Fini conosce il popolo, ha militato in un partito fatto di popolo, una delle sue fondamentali virtù è la capacità di parlare al popolo, di interpretarne quelle tendenze che alla nostra intellighenzia fanno sostanzialmente schifo. E questo è proprio il punto che non abbiamo capito di tutta questa vicenda. Nel ’93 e nel ’94 in molti pensarono che il popolo aveva sbagliato. Scalfari lo ha ripetuto anche domenica scorsa da Repubblica. Ma quando si comincia a percorrere questa china si va a finire alla necessità che il popolo sia guidato, che anche se pensa una cosa bisogna convincerlo a pensarne un’altra, che - insomma - occorre una guida forte, illuminata che tragga il popolo dalla sua condizione pecoreccia e lo porti verso una certa maturità.
Mettiamo che le idee di Fini, oltre a essere ovviamente legittime, vadano a cercare i voti del popolo. Quale popolo le voterebbe? Novanta su cento non quello della libertà. Neanche la grande maggioranza della parte di popolo che viene da An. E allora quale altro popolo rimane. Ce n’è uno che non conosciamo e che alberga tra destra e sinistra, al centro? Mah. Altero Matteoli, domenica ha detto al Giornale che il percorso di Fini è un percorso personale. Che non c’entra con An e che non c’entra con il Pdl. Non l’ha detto Vittorio Feltri, che su Fini ha detto già ciò che doveva dire, ma l'uomo che accompagnava Fini nelle trattative elettorali dal ’94 in poi con Forza Italia e con la Lega: il ministro delle Infrastrutture, quindi evidentemente qualcuno che ha il polso di quel popolo.
Allora delle due l’una: o Fini sposta il Popolo della Libertà sulle sue idee, o, sempre Fini, cerca un altro popolo. Ma quanti voti avrebbe quest’altro popolo? Mettiamo anche che fossero tutti quelli che scrivono e tutti quelli che leggono Repubblica: un po’ pochini. A meno che Fini non abbia in testa un partito di nicchia, in qualche modo élitario oppure altre cose che non sappiamo. Comunque ad oggi le idee di Fini non sono quelle di chi ha votato questa maggioranza di centrodestra, e difficilmente il popolo di centrodestra può oggi spostarsi su quelle posizioni di Fini. Lo sostiene anche Matteoli che Repubblica lo voglia o no. (PAOLO DEL DEBBIO - IL GIORNALE -)
Altra "bella" stoccata del giornale della Reale Casa al camerata Fini, e questa volta da parte di Paolo Del Debbio che le volte che mi è capitato di vederlo sulle reti del premier sullo schermo dopo il suo nome compariva anche la sua professione ovvero "opinionista". Di opinionisti del cavolo l' Italia ne è piena, di fatto anche io lo sono !
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