Ai tempi della Grecia antica, durante le Olimpiadi si sospendevano le guerre. Ora che dovremmo essere tanto più evoluti, c’è sempre il rischio che siano i conflitti a interrompere le gare, mentre un intero continente, tra i più ricchi al mondo, dichiara guerra proprio alla piccola Grecia e agli altri popoli mediterranei. E le Olimpiadi sembrano fatte non tanto per dimostrare di che cosa sono capaci gli uomini, quanto per mandare in vacanza i programmatori televisivi e i loro cervelli stracotti. Ma, come diceva Tremonti, piuttosto che niente, è meglio piuttosto. Se poi piuttosto vuol dire vedere la meglio gioventù di tutti i Paesi sfidare se stessa e la storia, viva le Olimpiadi, che cancellano la normale programmazione (il niente televisivo, appunto). Anche se l’enfasi nazionalista di certi telecronisti riduce lo scontro e nello stesso tempo lo amplifica, facendolo diventare ogni volta un derby squilibrato tra l’Italia e il resto del mondo. Perché, se c’è un nostro connazionale in gara, tutti gli altri atleti diventano irrilevanti, pure quelli che vincono la medaglia d’oro.
Così, tutta la domenica televisiva è stata esageratamente costruita sull’attesa di Federica Pellegrini e della sua prova sui 400 metri, con il conto alla rovescia in vista della gara, come per il lancio di un missile in orbita. E quando poi il missile non è partito e Federica non ha vinto, sembrava che tutte le Olimpiadi fossero scadute a delusione e declino. Possibile? Forse anche l’eccesso di attesa, oltre alle sviscerate ragioni tecniche, può determinare un eccesso di tensione nella star del nuoto, tarpandole le ali, pardon le pinne nel momento decisivo. Mentre le medaglie poi arrivano da ragazzi sconosciuti, mai visti neppure in uno spot, le cui facce sudate, spettinate e stravolte dalla gioia ci commuovono e ci affratellano nella guerra quotidiana contro lo spread. (Maria Novella Oppo - L'UNITA' -)
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