domenica 29 gennaio 2012

Addio Presidente Scalfaro






Nato a Novara il 9 settembre del 1918, Scalfaro fu eletto in Parlamento nel 1946 e fu ininterrottamente deputato fino al 1992, quando, da presidente della Camera, fu eletto Capo dello Stato, carica ricoperta fino al 1999. Storico esponente dell'ala conservatrice della Democrazia cristiana, attualmente era senatore a vita, aderente al Partito Democratico. Con Sandro Pertini ed Enrico De Nicola, Scalfaro ha ricoperto tutte le tre più alte cariche dello Stato, visto che fu anche provvisoriamente presidente del Senato all'inizio della XV Legislatura, fino all'elezione di Franco Marini. Il suo ultimo grande impegno è stata la difesa della Costituzione.
Il settennato al Quirinale di Scalfaro è stato uno dei più delicati e controversi. Scalfaro assistette allo sgretolamento della Prima Repubblica determinato dall'inchiesta su Tangentopoli, scontrandosi ripetutamente con Silvio Berlusconi dopo la vittoria elettorale del Polo delle Libertà nel 1994. Quando Berlusconi mise mano alla lista dei ministri del suo primo governo, Scalfaro ritenne sgraditi alcuni nomi e si oppose fermamente all'indicazione di Cesare Previti, avvocato del premier, indagato ma non ancora condannato, al ministero della Giustizia. Previti fu "spostato" alla Difesa e sostituito da Alfredo Biondi nel ruolo di Guardasigilli.

Dopo sei mesi, nel dicembre del 1994, il governo Berlusconi fu costretto alle dimissioni dal ritiro del sostegno della Lega. Scalfaro, invece di sciogliere le Camere, come chiesto insistentemente da Silvio Berlusconi, avviò le consultazioni per verificare se vi fosse in Parlamento una maggioranza alternativa per formare un nuovo esecutivo. Berlusconi gridò al "ribaltone", ma Scalfaro applicò la Costituzione: la funzione di deputati e senatori va esercitata senza vincoli di mandato, quindi è consentito cambiare schieramento ed appoggiare formazioni politiche diverse dalla lista in cui si è stati eletti.

Avuta dalle consultazioni la certezza della possibilità di un governo tecnico, Scalfaro in un famoso discorso di fine anno invitò Berlusconi al passo indietro, promettendo che il nuovo governo avrebbe avuto un incarico a termine e un presidente di fiducia dell'ormai ex premier. Il Cavaliere accettò il suo ex ministro del Tesoro, Lamberto Dini, e assistette nell'anno successivo al progressivo spostamento dell'asse del nuovo governo verso il centrosinistra, che con Prodi e l'Ulivo vinse le successive elezioni nel 1996.

Queste ed altre circostanze portarono nel centrodestra alla nascita di una diffusa ostilità verso il capo dello Stato, accentuata dalla sconfitta elettorale del 1996. Nuova occasione di scontro fu la legge sulla "par condicio", termine impiegato proprio da Scalfaro in più di una pubblica esternazione, per affermare l'esigenza della parità delle armi comunicative sulle reti televisive per tutti gli attori politici. La legge fu vista come un modo per mitigare lo strapotere mediatico di Berlusconi.

Nel 1993 scoppiò lo scandalo Sisde, relativo alla controversa gestione di fondi riservati. Un'inchiesta della magistratura fece emergere fondi "neri" per circa 14 miliardi depositati a favore di 5 funzionari. Ci furono l'intervento del Consiglio superiore della magistratura per dissidi fra il magistrato che indagava e il suo procuratore capo, quello della Commissione parlamentare d'inchiesta sui servizi segreti, presieduta da Ugo Pecchioli, e quello del ministro dell'Interno Nicola Mancino. Tutti si misero a indagare sull'operato del Sisde mentre a San Marino venivano individuati altri 35 miliardi di sospetta provenienza. Uno degli indagati, Riccardo Malpica, ex direttore del Sisde, affermò che Mancino e Scalfaro gli avrebbero imposto di mentire e che il Sisde avrebbe versato ai ministri dell'interno 100 milioni di lire ogni mese.

La sera del 3 novembre 1993 Scalfaro si presentò in televisione, a reti unificate e interrompendo una partita di Coppa Uefa, per un messaggio straordinario alla nazione. Fu il discorso del "Non ci sto!". Il presidente della Repubblica parlò di "gioco al massacro" e diede una chiave di lettura dello scandalo come di una rappresaglia della classe politica travolta da Tangentopoli nei suoi confronti. Nei giorni successivi i funzionari furono indagati per il reato di attentato agli organi costituzionali, accusa dalla quale sarebbero stati prosciolti nel 1996 per decorrenza dei termini, ma senza formula piena. Nel 1994, intanto, i funzionari furono condannati, dimostrando la fondatezza della accuse di Scalfaro. (REPUBBLICA)

il discorso del "Non ci sto"

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