giovedì 3 febbraio 2011

Da Minzolingua a Renzullingua

Il Tg1 ha scritto ieri sera un altro pezzo di grande televisione. Stavolta Minzolingua non ha leccato in proprio, ma ha paracadutato a Palazzo Grazioli uno dei suoi più scalpitanti cavalli di razza: Daniele Renzulli. Chi era costui? I colleghi più anziani ricordano che arrivò al Tg1 con fama di amico dell’autista di Fanfani, dunque democristiano, dunque giornalista. Poi quel gran genio di Johnny Raiotta pensò bene di promuoverlo caporedattore dell’Economia. Il sopraggiungere di Scodinzolini non lo colse comunque di sorpresa: Renzullingua divenne un minzoliniano di ferro, firmando tutti i documenti di solidarietà al direttorissimo ingiustamente criticato per la sua rocciosa indipendenza. Ieri finalmente è scoccata la sua ora: “Dai, Renzulli, passa dal barbiere, mettiti il vestito buono, lucida le scarpe, succhia una mentina, avverti amici e parenti e presentati a Palazzo Grazioli da Lui. Non preoccuparti per le domande: te le detta Bonaiuti e comunque servono solo a rendere un po’ meno palloso il vecchio bollito, ché l’ultimo videomessaggio ha messo in fuga pure Bondi. Occhio a non sbagliare: certe occasioni capitano una volta nella vita”.

Il giovanotto, gli va riconosciuto onestamente, non ha tradito le attese. Nonostante la salivazione azzerata, l’occhio pallato e la sudorazione a Vajont, ha tenuto testa da par suo al presidente del Consiglio, mettendolo spesso all’angolo con domande ficcanti. La prima: “Presidente, negli ultimi due anni l’Italia ha tenuto alto l’argine della stabilità dei conti, come hanno riconosciuto l’Europa e il Fondo monetario: è il momento di tornare a crescere, in che modo?”. Colpito e affondato dalla virulenza dell’intervistatore, B. vacilla, per riprendersi a stento: e ha spiegato che la colpa della crescita zero è dell’articolo 41 della Costituzione, curiosamente in vigore anche negli anni del boom economico, ma ora sarà prontamente abolito. Il nostro eroe, però, non è tipo da lasciarsi invischiare dalle risposte dell’avversario, infatti è già pronto col secondo uppercut: “Lei è sceso in campo nel ’94 promettendo la rivoluzione liberale: per dare una scossa alla nostra economia è venuto il momento di andare fino in fondo?”. Qui il Cainano, già legnoso sulle gambe a causa delle notti insonni, si accascia alle corde con lo sguardo che implora pietà. E, in stato confusionale, biascica supercazzole tipo “piano casa… Sud… fiscalità di vantaggio… federalismo”. Implacabile, Renzulli lo finisce con il ko: “Lei ha fatto una proposta di collaborazione all’opposizione, che ha risposto che non è credibile. Dietro questo rifiuto, secondo lei, aleggia il partito della patrimoniale, la vecchia ricetta che punta sempre sulla scorciatoia dell’aumento della pressione fiscale?”. Il nano bollito, dal tappeto, delira: “Il problema principale è il debito pubblico che abbiamo ereditato dai governi del passato… moltiplicato 8 volte dal 1980 al ’92 dalle vecchie forze politiche, con i comunisti in primo piano, negli anni del consociativismo”.

Qui si chiude l’intervista, ma solo per i telespettatori. Renzulli invece rimane lì e si scatena, ricordando a B. alcune verità scomode. Dal 1980 al ’92 si susseguirono i premier Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Craxi, Goria, De Mita, Andreotti, Amato: 6 Dc, 2 Psi, 1 Pri, nessun comunista (il Pci era all’opposizione). È grazie a loro se, in quei 12 anni, il debito pubblico passò dal 60 al 118% del Pil. Consociativismo? L’aumento più vertiginoso si registrò nei quattro anni di Craxi (1983-’87: da 456 a 890.000 miliardi di lire). Di cui B. era amico, finanziatore ed elettore. E chi erano i consiglieri economici di Craxi negli anni in cui il debito raddoppiava? Tremonti, Siniscalco, Brunetta e Sacconi. B. li ha promossi tutti e quattro ministri. Queste e altre verità Renzullingua ha ricordato al premier in coda all’intervista. Purtroppo, sul più bello, l’hanno tagliato. (Marco Travaglio - IL FATTO QUOTIDIANO -)

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