giovedì 11 dicembre 2008

Pio XII : - I documenti ci daranno ragione -

Il 13 giugno 1943, Pentecoste, Pio XII riceveva in udienza 25.000 operai giunti da tutt’Italia a conclusione delle celebrazioni per i suoi 25 anni d’episcopato. «Il materno cuore della Chiesa tutrice delle giuste aspirazioni del popolo lavoratore»: con questo titolo, la stampa cattolica pubblicava il discorso esaltante la dignità del lavoro e la dottrina sociale della Chiesa contro «i falsi profeti che dicono bene al male e male al bene, e, vantandosi amici del popolo, non consentono tra capitale e lavoro e tra datori di lavoro ed operai quelle mutue intese che mantengono e promuovono la concordia sociale per il progresso e l’utilità comune». La definizione di «falsi profeti» era piaciuta a Vittorio Emanuele III, come lo stesso re avrebbe dichiarato 4 giorni dopo al nunzio in Italia Francesco Borgongini Duca ,in un incontro in cui il rappresentante della Santa Sede faceva però notare come i giornali italiani avessero eliminato nelle loro cronache «tutte le parole di pace» pronunciate in quell’occasione: «La pace che vuole il Papa ¿ aveva detto il nunzio ¿ è la pace con giustizia, non la pace disastro».Il discorso di Pio XII cadeva in un momento difficile per il nostro Paese. Le truppe anglo americane avevano occupato Pantelleria e si preparavano a sbarcare in Sicilia. Ma il Re - riferiva il nunzio al cardinale Luigi Maglione, segretario di Stato - non riteneva possibile questa ipotesi. Le sorti della guerra, anche se ancora incerte, sembravano pendere a favore degli Alleati, mentre il Papa moltiplicava i suoi sforzi per arrivare a una soluzione del conflitto. Il riconoscimento di Roma «città aperta», evitando quindi i minacciati bombardamenti degli anglo-americani (numerose città italiane erano già state devastate), era uno dei tasselli non secondario dell’impegno del Papa. Anche se ciò si scontrava con la decisione degli Alleati, che volevano la resa incondizionata dell’Italia. Mussolini, nonostante i sintomi di disfacimento del regime, continuava a lanciare proclami di sicura vittoria. La Germania di Hitler era ancora forte nonostante l’insuccesso nella Russia di Stalin e il nazismo aveva scelto il genocidio, nel silenzio sostanziale anche degli Alleati. In questo scenario, il discorso di Pio XII agli operai rivela nella parte conclusiva - anche se mancano riferimenti specifici - l’intenzione del Papa a «cancellare» una sorta di diffuso preconcetto nei confronti della Chiesa e del Papa in particolare: «Una propaganda di spirito antireligioso va spargendo in mezzo al popolo, soprattutto nel ceto operaio, che il Papa ha voluto la guerra, che il Papa mantiene la guerra e fornisce il denaro per continuarla, che il Papa non fa nulla per la pace. Mai forse non fu lanciata una calunnia più mostruosa e assurda di questa!. Chi non sa, chi non vede, chi non può accertarsi che nessuno più di noi si è insistentemente opposto, in tutti i modi consentiti, allo scatenarsi e poi al proseguire della guerra, che nessuno più di noi ha continuamente invocato e ammonito: pace, pace, pace!, che nessuno più di noi ha cercato di mitigare gli orrori?».Pio XII aveva ragione a ricordare il suo incessante sforzo a sostegno della pace. Lo aveva fatto fin dal suo sofferto primo radiomessaggio alla vigilia della guerra: «Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra... Che gli uomini inizino a negoziare di nuovo». Di fronte alla crescente tragedia che insanguinava il mondo, il Papa nel Natale del 1942 aveva condannato fermamente i regimi totalitari ed aveva espresso anche un esplicito riferimento alla sorte di «centinaia di migliaia di persone, le quali senza veruna colpa, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe sono destinate alla morte o a progressivo deperimento». Non era denunciato esplicitamente il genocidio degli ebrei (del quale si avevano nel 1943 informazioni sempre più esaurienti), ma i leader nazisti non avevano equivocato sulle parole di Pacelli: «È un capolavoro di travisamento clericale della concezione del mondo nazionalsocialista».Nel discorso di Pentecoste di 65 anni fa manca in effetti ogni riferimento alla tragedia della Shoah. E probabilmente il silenzio (che non fu solo di Pio XII) era allora una strada obbligata. Ma c’è una significativa affermazione che sembra tener conto della intricata e complicata situazione internazionale e invita ad andare oltre gli aspetti contingenti. Disse infatti il Papa: «La Chiesa non teme la luce della verità, né per il passato, né per il presente, né per il futuro. Quando le circostanze dei tempi e le passioni umane permetteranno o richiederanno la pubblicazione di documenti, non ancora resi di pubblica ragione, concernenti la costante azione pacificatrice della Santa Sede, non timida dei rifiuti e delle resistenze durante questa immane guerra, apparirà in luce più che meridiana la stoltezza di tali accuse».L’affermazione vale anche per la Shoah? Queste parole di 65 anni fa, esplicite e anche orgogliose, esprimono l’attesa della verità. Ha dichiarato nei giorni scorsi Benedetto XVI: «Pio XII spesso agì in modo silenzioso e discreto perché, alla luce delle situazioni di quella complessa fase storica, intuì che solo così si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei». (AVVENIRE.it)


Pubblico per intero questo articolo dell’ Avvenire con la speranza che il Vaticano si decida di aprire gli archivi su Pio XII, in modo che se esiste un’altra verità storica su questo papa controverso, sia documentata al mondo intero. Resta forte il sospetto,. come ho già manifestato in precedenti post, che la procedura di beatificazione in corso acceleri una esaltazione di questa figura che per adesso la storia condanna. In coda allego un documento proveniente dagli archivi inglesi e americani di notevole interesse che attende di essere smentito dagli archivi vaticani.

C'è un nuovo tassello da inserire nel cangiante e spesso contraddittorio mosaico del rapporto tra Pio XII e gli ebrei nell'autunno del 1943, quando le Ss di Herbert Kappler arrestarono poco più di mille romani nel ghetto e nei quartieri della "città aperta" e li spedirono ad Auschwitz. Si tratta di documenti che arrivano dagli archivi inglesi e americani, visto che quelli vaticani sono tuttora inaccessibili. Uno di questi illustra l'incontro avvenuto due giorni dopo la retata nel ghetto, il 18 ottobre '43, tra il Papa e l'inviato straordinario della Gran Bretagna presso la Santa Sede: in quella occasione Pio XII tace sulla retata e il diplomatico gli chiede di interpretare con maggior determinazione il suo ruolo. In quel contesto Pacelli afferma che i tedeschi si sono comportati "correttamente" con il Vaticano. In quelle ore il treno con gli ebrei romani sta per partire verso Auschwitz. Due mesi dopo la deportazione degli ebrei romani il Papa, il 13 dicembre del '43, conversando con l'ambasciatore tedesco Ernest von Weiszaecker, che aveva cercato di opporsi alla deportazione, aveva illustrato la sua posizione sugli sviluppi della guerra. Il diplomatico aveva riassunto il tutto in un rapporto che è stato rintracciato durante alcune ricerche dagli studiosi Mario J. Cereghino e Giuseppe Casarrubea che le pubblicheranno in un prossimo volume. "Il Papa si augura - afferma il rapporto fatto avere ai servizi americani da Fritz Kolpe, la più importante 'talpa' che gli Usa avevano all' interno del ministero degli Esteri tedesco - che i nazisti mantengano le posizioni militari sul fronte russo e spera che la pace arrivi il prima possibile. In caso contrario, il comunismo sarà l'unico vincitore in grado di emergere dalla devastazione bellica. Egli sogna l'unione delle antiche Nazioni civilizzate dell'Occidente per isolare il bolscevismo ad Oriente. Così come fece Papa Innocenzo XI, che unificò il continente (l'Europa) contro i musulmani e liberò Budapest e Vienna". Proveniente dagli archivi inglesi è invece il resoconto dell'incontro del 18 ottobre del '43 tra l'inviato straordinario inglese Sir D'Arcy Osborne e il Papa. Da due giorni gli ebrei romani sono stati prelevati dalle loro case; lo stesso giorno, alle 14, partiranno dalla stazione Tiburtina verso il campo di concentramento. Nulla il Papa dice di quanto è avvenuto in quelle ore. Pio XII parla della difficile situazione alimentare a Roma che potrebbe portare a tumulti e della sua volontà di non abbandonare la città a meno di non essere "rimosso con la forza". L'ambasciatore è colpito dall'atteggiamento del Papa che gli dice di non avere elementi per lamentarsi del generale Von Stahel, comandante della piazza militare di Roma, e degli uomini della polizia tedesca "che finora hanno rispettato la neutralità" della Santa Sede. "Io ho replicato - scrive il diplomatico nel rapporto indirizzato al ministro degli Esteri Eden - di aver capito che quando il Vaticano parlava di preservare 'Roma citta' aperta, si riferisse alle operazioni militari. A parte il fatto che la denominazione 'Citta' aperta è una farsa, l'Urbe è alla mercé dei tedeschi che sistematicamente la privano di tutti i rifornimenti e della manodopera, che arrestano ufficiali italiani, giovani e carabinieri e che applicano metodi spietati nella persecuzione degli ebrei. (...)". Il diplomatico cerca di far uscire Pio XII dal suo atteggiamento. "Io ho affermato che Egli dovrebbe fare tutto il possibile per salvaguardare lo Stato della Città del Vaticano e i suoi diritti alla neutralità. Egli ha replicato che in tal senso e fino a questo momento, i tedeschi si sono comportati correttamente", aggiunge nuovamente il diplomatico. Una affermazione fatta mentre la città è ancora sotto choc per la retata arrivata dopo il ricatto dei 50, inutili, kg di oro chiesti agli ebrei per evitare la deportazione. "A mio parere - scrive ancora il rappresentante inglese - molta gente ritiene che Egli sottostimi la Sua autorità morale e il rispetto riluttante di cui Egli è oggetto da parte dei nazisti, dal momento che la popolazione tedesca è cattolica. Ho aggiunto di essere incline a condividere questa opinione e l'ho esortato a tenerlo bene in mente nel corso dei futuri avvenimenti, nel caso emergesse una situazione in cui fosse necessario applicare una linea forte". "Mettendo a raffronto i due documenti - commentano gli studiosi - risulta chiaro che Pacelli si sente a suo agio con l'ambasciatore tedesco. Con il rappresentante inglese assume un atteggiamento freddo, facendo leva su un giudizio del tutto formale tanto da suscitare la inusitata reazione del diplomatico". I due studiosi, già autori di un volume sulla guerra al comunismo in Italia tra il '43 e il '46, "Tango connection", sottolineano la difficoltà di raccogliere in Italia elementi documentali sulla questione ebrei-Vaticano: "Tuttavia migliaia di documenti sulla situazione della Santa Sede negli anni della seconda guerra mondiale sono da tempo disponibili negli Archivi di College Park negli Stati Uniti e di Kew Gardens in Gran Bretagna. Sono carte provenienti dai fondi dei servizi segreti angloamericani, del Dipartimento di Stato Usa e del Foreign Office britannico", spiegano. "Il nostro archivio ww.casarrubea.wordpress.com), conserva rapporti dei Servizi Usa sulle pesanti ingerenze esercitate dalla Santa Sede e in particolare da Pio XII e da Montini, il futuro Paolo VI, nella formazione del primo governo De Gasperi". (ANSA)

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