Non potendo giustificarsi col classico “a mia insaputa”, visto che un pizzino autografo lo inchioda, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo spiega che, se avvicinò il giudice titolare della causa tributaria Mondadori, fu per pura “curiosità intellettuale”, anzi “dottrinaria”. Oltreché un noto gerundio, il Caliendo è anche un magistrato, dunque uomo di legge ma soprattutto di logge (P3). Ed è nota a tutti la passione di B. per gli studiosi di dottrina, specie se curiosi. Fu così che tre anni fa, non bastandogli l’ancora acerbo Al Fano, il Cainano glielo affiancò al ministero della Giustizia. E lui non deluse le attese.
Due anni fa il premier non dormiva la notte all’idea di dover pagare Veronica, De Benedetti e le tasse eluse nel 1991 con la Mondadori appena scippata all’Ingegnere. L’Agenzia delle Entrate chiedeva indietro 173 milioni e lui, pur avendo vinto in primo e secondo grado, era terrorizzato dalla Cassazione dove sedeva il giudice Altieri, osso duro per chi elude. Non potendo comprarselo come ai vecchi tempi, B. mobilitò tutta la truppa d’urto: Tremonti, che negli anni pari fa il ministro di B. e in quelli dispari l’aiuta a non pagare le tasse, firmò il controricorso; Ghedini chiese di trasferire la causa alle Sezioni unite sotto l’ala protettrice del primo presidente Carbone, ora indagato per la P3; un altro pitreista, il traffichino irpino Pasqualino Lombardi, si dava da fare con Carbone e con l’avvocato generale Fiumara, anche portando in dono damigiane d’olio (noto lubrificante); appositi servi in Parlamento preparavano una leggina per consentire a chi vince in primo e secondo grado di patteggiare in Cassazione col 5% della somma dovuta, uno scudo fiscale ad aziendam; e Caliendo avvicinò Altieri a un convegno per sapere che ne pensasse: avrà ragione la Mondadori o il fisco? Altieri fece il vago e, per evitare che si scordasse di lui, il sottosegretario dottrinario gli lasciò un pizzino-promemoria con gli estremi della causa e un numero di telefono. Se Altieri avesse anticipato che aveva ragione Mondadori, non ci sarebbe stato bisogno di sputtanarsi ulteriormente traslocando la causa alle Sezioni unite e varando l’ennesima porcata, anzi Mondadori avrebbe risparmiato pure il 5%.
L’altro ieri, interpellato dal Fatto che ha svelato il pizzino, Caliendo non si scompone: in effetti chiese un anticipo di sentenza ad Altieri, ma non perché ballassero 173 milioni di B.: questo mai, “non mi sarei mai permesso”, un uomo di legge e di dottrina come lui. È che all’improvviso – ah, le curiosità dei dottrinari! – gli era punta vaghezza di sapere, e subito, senz’aspettare la sentenza, se nel caso Altieri “ravvisasse un abuso del diritto”. Se sì, ci avrebbe scritto un trattatello dottrinario. Così, di getto, all’impronta. È più forte di lui: quando Caliendo sente odor di abusi del diritto, non c’è chi lo tenga. In ogni caso Altieri non anticipò il verdetto, Carbone gli scippò la causa, la maggioranza ebbe il tempo di approvare la legge pro Mondadori, il capo dello Stato la firmò e Silvio (pardon, Marina) sborsò 8,6 milioni anziché 173. Ora qualcuno potrebbe perfino sostenere che quelle curiosità dottrinarie siano lievemente incompatibili con la permanenza di Caliendo al governo.
Nel qual caso segnaliamo una promettente giovincella che, quanto a curiosità e a dottrina, nulla ha da invidiargli: Sabina Began, l’”ape regina” dei festini di B. L’altro giorno invita a pranzo l’on. Bocchino che, diversamente dall’Altieri con Caliendo, ci casca subito come un fuco, finendo paparazzato sui migliori rotocalchi gossipari e strillando poi alla “trappola” e “alla macchina del fango”. Interpellata dal Fatto sulle ragioni del suo interesse per il braccio (anzi l’alluce) destro di Fini, la Began spiega serafica: “Io vedo tanta tristezza nel mondo: guerra, odio, cattiveria. Silvio Berlusconi desidera solo pace intorno a sé. Per questo ho mediato con Bocchino, ma di mia spontanea volontà”. Curiosità pacifiste, direbbe Caliendo. Sottosegretaria alla Giustizia, subito. (Marco Travaglio - IL FATTO QUOTIDIANO -)
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