L’Italia ha bisogno del professor Monti. Ne aveva bisogno tre mesi fa, ne ha bisogno ancora di più adesso. Ma la necessità non può nascondere i segnali che arrivano da un premier che lentamente sta cambiando linguaggio.
Non è l’ironia british dei primi discorsi in Parlamento, nè la scivolata più o meno involontaria sul posto fisso monotono. C’è qualcosa di più e di diverso nel minacciare le dimissioni come faceva Tremonti (ma citando Andreotti), o nel coprirsi un po’ berlusconianamente con i sondaggi e dietro un concetto un po’ astratto di italiani.
Nei suoi primi discorsi Monti insisteva una riga sì e l’altra pure sul ruolo insostituibile dei partiti. Da un po’, al contrario, dimostra una certa insofferenza. Con punte di sgradevolezza, come il riferimento odierno al consenso (basso) delle forze politiche.
Certo, i partiti non sono un gran bel vedere e di questi tempi godono di pessima fama. Ma è una logica curiosa, e vagamente egotica, quella che decide che i partiti vanno bene quando dicono sì, e molto meno bene quando dicono no.
Altrimenti stare con Monti diventa un imperativo morale e non una scelta politica. E a lungo andare, da una simile prospettiva, nessuno ha da guadagnare. Nemmeno lui. (Marco Bracconi http://bracconi.blogautore.repubblica.it/)
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