Chiariamo subito: qualunque cosa sia successa venerdì notte a Milano, nel palazzo di via Monte di Pietà, Maurizio Belpietro resta una vittima. Sentire sparare per le scale mentre sei appena entrato in casa con tua moglie sgomenta e due bimbe che dormono è un’esperienza da non augurare a nessuno (soprattutto se da otto anni sei costretto a vivere sotto scorta). Non sono parole di circostanza perché al di là delle battaglie giornalistiche c’è un comune sentimento di umanità che non dovrebbe mai venire meno. Così come non dovrebbe mai mancare il senso della misura anche in chi ritiene di aver subìto una grave intimidazione.
Il direttore di Libero esagera e parecchio quando scrive che noi del Fatto gli “vogliamo male” solo perché, subito, abbiamo registrato i tanti (troppi) interrogativi emersi nel racconto del caposcorta, unico testimone della sparatoria. Ma qui ci siamo fermati in attesa della conclusione delle indagini. Del resto, chi ha osservato: “Tra i poliziotti circola uno strano convincimento, che l’agente di tutela del direttore di Libero si sia inventato tutto”, non siamo stati noi ma il Corriere della Sera. No, caro Belpietro noi non ti vogliamo male però non puoi pretendere che tutti si straccino le vesti gridando all’attentato senza prima aver verificato la fondatezza delle notizie come ci hanno insegnato quando muovevamo i primi passi in questo mestiere.
Certo, girano tipi poco raccomandabili e i Tartaglia e i petardi contro Bonanni hanno, come si dice, lasciato il segno. Ma che dire dello scatenamento seguito alle notizie che ti riguardavano? Un enorme indice accusatore sostenuto dalle solite teste di cuoio e accompagnato dalle solite geremiadi sulle “campagne di odio della sinistra”, sui “cattivi maestri”, sui “giornali giustizialisti” e, chissà perché, sul “troppo perdonismo”. Non sorprende che gli specialisti a libro paga del premier cerchino ad ogni occasione di regolare i loro miseri conti infischiandosene della realtà dei fatti. Ma se vediamo il direttore di Libero fare della propria disavventura un’arma politica per accusare chi gli sta sulle scatole, bè sinceramente ci dispiace. Belpietro, per esempio, fa male a respingere la solidarietà di Travaglio (“lacrime di coccodrillo”) solo perché lui si è un po’ divertito a confrontare i sanguinolenti titoli di Libero con la veemente requisitoria del direttore contro chi “conduce campagne di delegittimazione e diffamazione”. Tranquillo, perché Marco non se l’è presa. È quando legge di paragoni tra Belpietro e Montanelli che non ci vede più. (Antonio Padellaro - IL FATTO QUOTIDIANO -)
Passano i giorni e sembra che ormai trattasi di una bufala il presunto attentato a Belpietro. Probabilmente il capo scorta ambisce ad un'altra promozione !
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