martedì 29 giugno 2010

"C'è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto. No! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali".
Voglio ricordare le parole di Paolo Borsellino, oggi che la Corte d'Appello di Palermo ha condannato Marcello Dell'Utri a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Perché, a prescindere dalle analisi, dai numeri e dalle ipotesi, da questa storia emergono alcuni punti incontrovertibili.
Il primo: questo processo riguarda i rapporti tra Cosa Nostra e Forza Italia, e non va confuso col filone d'inchiesta su quelli tra Mafia e Stato, che abbraccia le stragi del '92.
Il secondo: Marcello Dell'Utri, senatore della Repubblica Italiana, è stato condannato a sette anni con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. E' un fatto.
Il terzo punto: lo stesso Dell'Utri è il co-fondatore di Forza Italia (oggi Pdl), partito di maggioranza che governa il Paese. Co-fondatore perché lo fondò insieme a Silvio Berlusconi, oggi Presidente del Consiglio dei Ministri e coinvolto nei fatti per cui Dell'Utri è stato condannato in Appello. Anche questo è un fatto.
A prescindere dagli anni di condanna - nove, sette, dieci non importa - questa sentenza offre una conclusione amara su cui gli italiani devono meditare: l'Italia è governata da due persone che hanno avuto rapporti stretti e confidenziali con Cosa Nostra. Tutto il resto passa in secondo piano. (www.antoniodipietro.it)

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