mercoledì 29 febbraio 2012

Il bastone e la 600

Qualche anno fa, discutendo in privato con il professor Prodi quando era presidente del Consiglio e tentava di governare l’Italia alla guida di una maggioranza di mentecatti, masochisti, parolai, idioti che si credevano geniali e arruffoni vanesi assortiti, gli feci la “domanda della 600″. La generazione dei nostri genitori, uscita con le gambe spezzate dalla guerra voluta da Mussolini, si era raddrizzata lavorando e faticando e ricostruendo e sacrificandosi, nella convinzione che alla fine della propria fatica disumana (sentivo mio padre picchiettare sulla sua Lettera 22 e tenermi sveglio fino alle tre del mattino e doveva uscire di casa alle sei per prendere servizio al Corriere d’Informazione) ci fossero le piccole e grandi ricompense del lavoro. L’utilitaria, la “600″ (che perdeva olio come un frantoio), la settimana al mare per i bambini, la casa comperata con mutui trentennali, il “frigor”, come dicevano i buoni milanesi, le scuole. Ma quale fu, al momento del grande sacrificio collettivo per entrare nell’Euro, la “600″? Non mi diede una risposta. Qual è, oggi, la ricompensa terrena – al Paradiso ci pensa Celentano, io non sono abbastanza informato sull’argomento – per il calvario di manovre e strette? Evitare di cadere nel precipizio non può bastare come incentivo, anche perché fino a quando non ci si casca dentro non si capisce quanto faccia male, come non lo capiscono quelli che invocano addirittura il “default”, il fallimento nazionale, come soluzione. Quello che nessun leader politico serio, lasciamo perdere i clown, gli imbonitori, gli opportunisti e i rubagalline che si spacciano per uomini e donne politici, osa dire, è che oggi si è costretti a correre sempre più forte per restare fermi dove si è. Quando va bene, ma proprio bene. (Vittorio Zucconi http://zucconi.blogautore.repubblica.it/)

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